A visual proest. The Art of Banksy

Mudec, Milano 

dal 21 novembre 2018 al 14 aprile 2019 

a cura di Gianni Mercurio


Articolo di Anna Maria Santoro



 I percorsi espositivi del Mudec inaugurati nel 2015 si estendono nella zona sud-ovest di Milano nei locali che un tempo erano occupati dall’ex fabbrica Ansaldo, e riqualificati dall’architetto David Chipperfield.



Il profilo squadrato e basso dell’intero edificio, costituito da una serie di costruzioni affiancate le une alle altre che si susseguono in via Tortona, si distende come un treno lunghissimo: inghiotte i visitatori all’altezza del civico 56, in un atrio centrale di cristallo con una gradinata che si apre in un cono di luce, come un ingresso verso l’inconscio.

Nell’ala destra del primo piano prende forma la mostra retrospettiva curata da Gianni Mercurio su Banksy, del quale pochi conoscono l’identità benché al momento sia lo street artist più famoso al mondo.




E’ ospitata in una serie di stanze che rimandano mentalmente ai luoghi e ai non-luoghi teorizzati da Marc-Augé; è preceduta da un excursus che sintetizza gli intenti del Movimento Situazionista degli anni Cinquanta e Sessanta insieme alle proteste del 1968 e agli interventi di ribelle creatività dei writers di New York degli anni Settanta e Ottanta partiti dai quartieri di Harlem, e contiene, come un prologo, quattro opere di Asper Jorn realizzate tra il 1959 e il 1961.

 

I colori della prima sala, il giallo delle pareti e il nero dei caratteri del titolo A visual protest, si invertono nelle didascalie creando un’atmosfera di rovesciamento che ben di addice all’arte di strada, fatta di contestazioni, di segni sopra ai muri e sui vagoni di una metro con bombolette spray e pennarelli, e di corse per schivare la polizia; e ben si addice al mistero che avvolge Banksy. 



Quel poco che si sa della sua vita lo si può apprendere soltanto curiosando di qua e di là, ad esempio dal suo documentario-video Exit through the Gift Shop del 2010 dove mostra la sua arte ma poi si mostra col viso coperto dal cappuccio di una felpa, oppure dalle pochissime interviste che ha rilasciato:  sul The Guardian nell’articolo del 17 luglio 2003 così lo descrive Simon Hattenstone: “bianco, ventotto anni, stile casual trasandato, jeans maglietta collana e orecchino d’argento”, poi il dubbio del giornalista, senza risposta “Come faccio a sapere che sei Branksy?”




Benché la mostra non presenti pezzi di muro strappati dalle strade, ormai consuetudine illecita pur di avere una sua opera da vendere, ma contenga solo stampe numerate, adesivi, copertine e foto, l’artista non l’ha autorizzata.




Confidando nella forza delle immagini, coi suoi disegni evocativi Banksy ha marchiato intonaci, serrande, statue e parchi pubblici: sono figure inginocchiate per il dio denaro; bambine con missili in braccio a mo’ di bambole; dissacrazioni del Regno della Gran Bretagna contro la Guerra del Golfo; e poi topi e scimmie per descrivere le stoltezze della politica.


A dicembre ha augurato "Buone feste 2019 a tutti" su instagram, postando la foto di un murales che ha realizzato a Port Talbot, la città più inquinata del Regno Unito: è un bambino a braccia aperte con cappellino, slitta e bocca spalancata verso l’alto per ingoiare fiocchi che sembrano di neve; si tratta invece di cenere di un cassonetto in fiamme.


Famose sono le sue incursioni nei luoghi di sacralità indiscussa dell’arte: nel 2003 ha realizzato e appeso al British Museum, eludendo la sorveglianza, un finto reperto di graffito rupestre con un uomo che insegue un carrello della spesa e poi, alla Tate Modern, i suoi disegni tratteggiati su copie di quadri noti.


Con un effetto sovversivo ha organizzato mostre come “Turf War” - Guerra per il territorio; “Barely Legal” - A malapena legale; o The Village Pet Store and Charcoal Grill”; “Dismaland”.


Nel 2017 Banksy ha aperto a Betlemme il Walled Off Hotel, con dentro bombolette e colori a disposizione dei writers, accanto al muro che divide il territorio palestinese da quello israeliano. Nel 2007, su quello stesso muro, aveva ritratto un soldato israeliano che controlla i documenti di un asino ma il graffito, ritagliato successivamente con una sega per cemento, è stato strappato illegalmente per essere venduto. D’altra parte, nel suo documentario del 2010, così aveva raccontato: <Quando le mie opere hanno cominciato a valere un sacco di soldi, sono rimasto sorpreso. Alle aste venivano venduti alcuni miei dipinti che molti anni fa avevo realizzato per avere in cambio un taglio di capelli o cibo>.


 

Il 5 ottobre 2018 a Soteby’s a Londra una delle sue opere del 2006 dal titolo Girl with red balloon, una versione su tela di un suo stencil per un murales del 2002 riutilizzato più volte con alcune variazioni, si è autodistrutta un istante dopo essere stata battuta all’asta per un milione di dollari circa, tagliata da un meccanismo nascosto nella cornice e comandato a distanza; e il suo valore, ora che è rovinata, è destinato ad aumentare. Una performance!?


Oggi molti suoi graffiti, da ragionevoli simboli di protesta, sono diventati beni ambìti di commercio perché “come in una frase, anche nella vita – scriveva Bergson – basta inserire una virgola per far cambiare non solo ciò che viene dopo, ma anche tutto ciò che c’era prima”.






Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di febbraio 2019


Milano, gennaio 2019, ph Anna Maria Santoro 


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