Useless Bodies?

Fondazione Prada, Milano 

dal 31 marzo al 22 agosto 2022 

a cura di Vicente Todolí

 



Articolo di Anna Maria Santoro



 «La domanda sullo scopo della vita non ha ancora trovato una risposta soddisfacente; forse non la consente nemmeno» scriveva Freud nel 1929 in uno studio dal titolo «Il disagio della civiltà», in cui focalizzava l’attenzione su identità e dimensione pubblica. A distanza di un secolo, ci si continua a chiedere perché accadono le cose, quali siano le relazioni dell’uomo e quale sia, oggi, il ruolo del suo corpo fisico la cui presenza sembra essere divenuta ormai superflua, in balia di un mondo sempre più informatizzato.

Ci stiamo trasformando in useless bodies? In corpi inutili? Fa paura essere forme e figure senza rilievo. «USELESS BODIES?» è il titolo della mostra di Elmgreen & Dragset inaugurata il 31 marzo presso la sede della Fondazione Prada di Milano, visitabile fino al 22 agosto, per riflettere su questi temi.

La Fondazione Prada è nella zona sud di Milano in un contesto urbano poco trafficato, al civico 2 di Largo Isarco. I suoi spazi espositivi erano un tempo laboratori di una distilleria risalente al 1910, alla quale un accurato progetto di riconversione ha aggiunto tre nuovi edifici: il Podium, il Cinema, e la Torre di nove piani con soffitti di altezza via via crescente, fino agli otto metri dell’ultimo livello. Nata come luogo di ricerca, fa pensare all’aforisma oraziano «Sapere aude» citato da Kant nel 1784, «Abbi il coraggio di conoscere», perché unisce idee di quanti, artisti, scrittori, scienziati o filosofi, amano confrontarsi sui cambiamenti, offrendo bellezza e nuovi modi di comprendere e imparare.

Varcando l’ingresso, la prima opera di Elmgreen & Dragset è già visibile nel cortile, con oggetti a noi familiari tuttavia non comuni all’interno di una mostra, e dunque inutilizzabili.
Non è la prima volta che espongono in Italia: Michael Elmgreen, nato nel 1961 in Danimarca, e Ingar Dragset, nato nel 1969 in Norvegia, nel 2003 avevano presentato a Milano «Short Cut»: un’installazione con una FIAT bianca e una roulotte collocate al centro dell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele che davano l’impressione di un incidente. 



Sei anni dopo, nel 2009, avevano partecipato alla Biennale di Venezia trasformando gli spazi espositivi dei due Padiglioni, della Danimarca e dei Paesi nordici, in due appartamenti uno dei quali in vendita, e nella cui piscina esterna galleggiava il cadavere di un ipotetico proprietario. All’interno, avevano incluso le opere di altri ventitré artisti, da loro invitati e coordinati.


Alla Fondazione Prada, con «USELESS BODIES?» Elmgreen & Dragset vogliono rappresentare la nostra epoca: «Se nel 1800 eravamo produttori di beni di consumo e nel 1900 consumatori, oggi il corpo ha lo status di prodotto, i cui dati vengono raccolti, e venduti dalle Big Tech» hanno dichiarato. E’ un tema caro non solo all’Arte, ma anche alla Filosofia contemporanea, su teorie legate al mercato digitale. 

Produciamo dati prima di nascere: con misurazioni di segmenti corporei attraverso ecografie fetali. Produciamo dati alla nascita: peso, circonferenza cranica, indice di Apgar, bilirubina. E via via, crescendo, producono dati i nostri spostamenti, le nostre transazioni economiche, le nostre telefonate, i nostri pensieri. Tuttavia, se nei sistemi ottocenteschi i nostri dati servivano a scopi limitati, oggi vengono svincolati dal produttore, allocati in sistemi di raccolta, analizzati da intelligenze artificiali che propongono soluzioni apparentemente personalizzate, e venduti: «I corpi non sono più soggetti attivi» hanno affermato i due artisti. «Si potrebbe addirittura dire che le nostre identità fisiche siano divenute più un ostacolo che un vantaggio». 


Il percorso espositivo della mostra seleziona alcuni luoghi dell’esistenza: una piazza, un ufficio, una palestra, una casa. Al pianterreno del Podium sono affiancate e contrapposte sculture classiche e neoclassiche, che esaltano il corpo maschile, a figure create dai due artisti che rappresentano momenti di esitazione, di isolamento, paura, attesa e solitudine dell’uomo. Al primo piano del Podium: il «Giardino dell’Eden»; è una grande installazione-ufficio con settanta postazioni di lavoro tutte uguali, disposte secondo lo schema asettico di molti uffici del passato, e ora completamente abbandonato. Le uniche note di colore sono piccoli oggetti lasciati dai dipendenti: una foto o un disegno a matita accanto ad un computer. Analogamente, lo spazio espositivo denominato Cisterna è stato trasformato in un ambiente somigliane ad una spa, ma la piscina vuota, le spalliere inutilizzabili e il trampolino occupato da un monolite ne fanno un luogo in cui il corpo esita a trovare il proprio ruolo. Infine, con un richiamo alla Biennale del 2009, sulle pareti della Galleria Nord al di là del Podium, pannelli di metallo costruiscono una casa: la casa del futuro; non accogliente ma inquietante, del tutto simile al vano di una navicella spaziale orbitante, oppure a un bunker, forse dopo una possibile guerra nucleare; con un cane robot all’interno. 

Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di maggio 2022

Le foto pubblicate nel frontespizio e in questa pagina (72 dpi) sono tratte dalla cartella stampa dell'Ufficio Stampa (ad eccezione della foto in cui è ritratta l'opera dei due artisti alla Biennale di Venezia del 2009). 

Nell'ordine:

© Elmgreen & Dragset, What’s Left?, 2021, Silicone, clothing, wire rope, balancing pole, Dimensions variable, Courtesy: the artists, Photo by: Elmar Vestner;

© Elmgreen & Dragset, Original section of the Berlin Wall, cash machine, stainless steel, Courtesy: the artists, Photo by: Studio Elmgreen & Dragset;

© Elmgreen & Dragset, Death of a collector, 2009, Photo by Anna Maria Santoro La foto è stata scattata durante la Biennale di Venezia del 2009. L'opera richiamerebbe, secondo alcuni critici, Like a Rolling Stone del 2000, di Robert Gligorov, esposta nella personale dal titolo Prime Crime  alla Galleria La Giarina di Verona; 

© Elmgreen & Dragset, Pregnant White Maid - Photo Elmar Vestner



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