Eremi in Abruzzo

 




Data dell'articolo: ottobre 2021
di Anna Maria Santoro



  

Ha un colore turchese e lattiginoso il fiume Lavino. 


Nasce nel massiccio montuoso della Maiella e le sue acque, sulfuree, là dove si fanno basse e se ne vede il fondo, invitano a camminare nel suo letto. Evocano le Odi di Orazio scritte nel pieno della sua maturità: “Quest’angolo della terra, più di ogni altro, mi sorride”.



In questi luoghi di un Abruzzo appartato, che allo spettacolo della natura aggiunge gli eremi, si può cercare la solitudine benevola nel silenzio, quello stesso silenzio che appariva a quanti, monaci o frati, qui arrivavano nei secoli passati per vivere in preghiera: se ne rammenta l’abate Desiderio, che nel 1053 dimorò nell’eremo di Santo Spirito a Maiella e che divenne papa nel 1086 col nome di Vittore III, oppure Papa Celestino V al secolo Pietro Angelerio che per anni peregrinò di eremo in eremo: a Sant’Onofrio, Santo Spirito, San Giovanni all’Orfento.

 Passo dopo passo, le pareti della montagna, i precipizi e la vegetazione diventano, qui, una spinta della ragione al metafisico.

In Abruzzo i luoghi di culto rupestri sono circa cento.
 Scavati su alture a strapiombo, vi si avverte quella “risoluzione del finito nell’infinito” di cui parlava Hegel. Ma al tempo stesso, se ne avverte anche il contrario: “La natura – scriveva Burke nel 1757 - produce l’emozione più forte che l'animo sia capace di sentire; è un’emozione generata dalla distanza insuperabile che separa il soggetto dall'oggetto".

Gli eremi sono raggiungibili a piedi ed entrarvi non sempre è agevole: a San Giovanni all’Orfento l’ingresso è sospeso tra due blocchi orizzontali di roccia, talmente stretti da costringere a un trascinarsi carponi, simile a un procedere penitente che tuttavia può insinuare il dubbio di mancanza di colpe da riparare.  Fa pensare alla prigione di Rocca di Fumone, nella vicina regione del Lazio, dove nel 1296 morì Celestino V, e descritta sul finire degli anni Sessanta da Ignazio Silone nell’“Avventura di un povero cristiano”: “Quella torre sull’altura, quella è Fumone. Le celle dei prigionieri hanno appena la grandezza di una tomba. Vi si entra carponi”.
Alcuni eremi sono collegati dal “Sentiero dello Spirito”: esso procede richiedendo alcuni giorni di cammino dalla sede dell’antico Ordine Celestiniano verso Sant’Onofrio, poi San Pietro, San Giovanni, San Bartolomeo e oltre.
Uno di essi, Santo Spirito a Maiella presso Roccamorice, è raggiungibile anche in macchina.
 La strada, all’inizio dolce e innocua, si schiude tra ulivi e segnaletica rassicurante: “Scuola di roccia”, oppure “tholoi”, orientando verso piccole costruzioni in pietra, a secco, disseminate nel territorio, che assomigliano agli igloo e un tempo usate dai pastori abruzzesi come rifugi e depositi per il formaggio. La carreggiata, tutta in salita, si lascia ai lati distese di felci e cardi.


 Via via più stretta, diviene angusta, estrema, fino a una piana a 1.130 metri di altitudine con due fonti. E’ il posto in cui nel 2018 sono state girate alcune scene del film “The New Pope” di Paolo Sorrentino, ma è anche il luogo che nell’estate di quest’anno 2021 ha ospitato la mostra “Bellezza e spiritualità della Maiella” di Lucilla Candeloro, allestita in uno spazio interno appena dopo l’ingresso dell’eremo, anticamente diviso in piccole celle per il ritiro dei monaci, con dipinti in aperto dialogo con lo spazio esterno: con le folte faggete e la corteccia degli alberi al di là delle grate di ferro delle finestre. 


In quest’eremo, lungo il percorso e scavata nella roccia nel 1586 per volere di Pietro Santucci da Manfredonia, c’è la Scala Santa, coi gradini che saliti anticamente in ginocchio portano ancora i segni di consunzione, ma ancora oggi vi è possibile ottenere l’indulgenza plenaria. Più avanti, su un terrazzamento, le piante officinali fanno migrare la mente agli antichi medicamenti che i frati usavano per la cura dei malanni.


Trascorrere qui il tempo significa, anche, cedere alle liriche di Montale: “Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s'abbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità”.
In questi luoghi non c’è niente di più bello che restare in silenzio, in quel silenzio che non coinvolge solo il suono delle voci, ma anche la propria voce interiore e il pensare.

© RIPRODUZIONE VIETATA 

Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di ottobre 2021    

Roccamorice e Alanno, ottobre 2021, ph Anna Maria Santoro


Make a free website with Yola