Recensione, del 2014, a cura di Anna Maria Santoro 

Sergio Paolo Diodato, I BUONI COLORI DI UNA VOLTA, Menabò, 2011




Sergio Paolo Diodato è nato a Guardiagrele nel 1956. E' Professore all'Accademia di Belle Arti di Firenze, titolare della Cattedra di Restauro.

 In seconda edizione, nel 2012 ripubblica "I Buoni Colori di una volta" con Menabò, un libro pensato per artisti e per restauratori ma letto di buon grado anche da chi, di fronte a un'opera, ha voglia di maggiore comprensione.

 Come nasce?! Da un suggerimento di un suo allievo in un test per valutare i docenti: "Ci vorrebbe un testo in italiano che raccolga il programma intero". Lo studente si riferiva alle difficoltà di lettura del manuale di Cennini, "Il Libro dell'Arte del XV secolo", scritto nel linguaggio di allora e che oggi appare, a prima vista, incomprensibile.

 Il libro di Diodato, vero e proprio ricettario, attraverso la rilettura di antiche fonti quali Vitruvio, Plinio il Vecchio, Teofilo, Vasari, Armenini o Dioniso di Furna, ripercorre il sapere tecnico dell'arte, per fabbricare materiali e per dipingere come un tempo si faceva nelle botteghe antiche.


 Insegna a realizzare la cartapecora, i pennelli, i diluenti e i leganti, con l'uovo di gallina e colle di pesce, con formaggio fresco e calce spenta; ma anche oli di lino, di noci e di papaveri; e inchiostri ottenuti dalla lunga bollitura delle bucce dei rovi oppure dei pezzetti di fuliggine; e pigmenti di origine minerale con lapislazzuli, azzurrite, bitume, cinabrite o diaspro rosso.

 Per fabbricare i pigmenti vegetali suggerisce le ginestre, lo zafferano, la cipolla oppure le viole: ritagliando e pestando le parti scure delle viole del pensiero e aggiungendo l'allume di rocca polverizzato, si ottiene un verde bellissimo per scrivere e per miniare, leggermente più denso rispetto a quello prodotto con i petali dell'iris.

 I pigmenti di origine animale si preparano invece con la cocciniglia, oppure con il nero della seppia che si lascia essiccare al sole o nel forno a temperatura molto bassa senza cuocerlo; si macina poi, riducendolo in polvere finissima.







                                                                                                                                                      

Il libro non manca di stupire quando si arriva ai pigmenti di origine artificiale, con notizie tecniche e tossicologiche mettendo in guardia dai rischi, talvolta anche mortali, durante la preparazione come ad esempio del cinabro artificiale: ha la formula chimica HgS che è solfuro di mercurio; l'intossicazione per inalazione causa fatti irritativi del tutto simili a quelli indotti dai gas corrosivi per cui, dopo aver girato lo zolfo e il mercurio insieme e aver messo il composto nel crogiolo col coperchio, è necessario indossare la maschera antigas prima di accendere il fuoco.

Quattrocento bellissime immagini a colori riproducono le fasi di esecuzione ma anche i minerali, i fiori, gli affreschi, i codici miniati e le conchiglie, con didascalie che risvegliano curiosità e aumentano le informazioni come quella sul latte di fico che fuoriesce dai piccioli delle foglie appena staccate, e che serve a favorire l'emulsione tra i tuorli dell'uovo e l'acqua; oppure sul guado fiorito ad aprile nel Parco Nazionale della Maiella e sulla pianta di indaco nel Giardino dei Semplici a Firenze, oppure mostrano la posizione corretta della lama per radere, sul lato interno della pelle, la pergamena ancora umida sul telaio; o l'aspetto della biacca schiacciata a secco.



E se il Vero lo si scopre attraverso l'origine delle parole, perché il tempo e l'uso ne mutano i significati talvolta sovvertendoli, Diodato fa ricorso a etimologie, a luoghi e accadimenti dell'antica Grecia, della cristianità e dei tempi passati per meglio spiegare e far pensare. Così, l'artista "egregio è colui che si stacca dal gregge" per essere guardiano di bellezza; l'Accademia diventa il "giardino dove nascono gli artisti" e lo studium la "passione" di un lavoro da chi deve trasmetterlo a chi lo deve apprendere. E la preghiera è "quella spinta in più di tante opere sacre!.

"Fino a quando non si fanno concretamente, le cose non si capiscono pienamente", si legge nella prefazione. "Posso dire di aver compreso la grandezza di Bernini scultore, o del divino Michelangelo, quando ho tirato i primi colpi sul marmo di Carrara, avendo provato sulla mia pelle i calli, il sudore e le braccia rotte", perché il fare con le mani è il punto di forza dell'artista attraverso l'ideale formativo delle antiche botteghe del passato. 

Il libro tocca anche un aspetto importante sui gravi problemi di conservazione dell'arte moderna e contemporanea, soprattutto pittorica e polimaterica, a causa della deperibilità di alcuni dei materiali attualmente impiegati e dei difetti intrinseci alle procedure dell'odierna realizzazione.

Infine, considerando anche le Regole monastiche dei francescani, benedettini, agostiniani e domenicani, il libro si prefigura come una preghiera, e nel riportare le parole di Heraclius nel De coloribus et artibus romanorum, non desta meraviglia come esse siano così sorprendentemente attuali benché scritte più un millennio fa, perché la storia si ripete, sempre uguale, nell'arte e nella politica: "Già da tempo è caduto il decoro dell'ingegno, che distingueva il popolo romano, da quando sono venute a mancare le cure d'un saggio senato. Chi sarà capace, ora, di indagare su queste arti che s'inventarono quegli artefici forniti di vigorosa mente?"



Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di Ottobre 2014

 

Le foto pubblicate in questa pagina sono tratte dal libro "I buoni colori di una volta" di proprietà dell'Archivio Diodato © 


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