Incanto e virtuale nell'arte

 




Data dell'articolo: giugno 2013
di Anna Maria Santoro



 Camminando per le strade gli avvisi penzolano dalle ringhiere arrugginite dei balconi o dalle porte dall'odore pizzicante di una mano di vernice ancora fresca: vendesi, affittasi, talvolta a pochi passi di nuovo vendesi. Qualche cartello è logoro e a brandelli per l'attesa che scenda il prezzo o che il bene arrivi all'asta, richiamando le giravolte degli avvoltoi che nell'aria indicano alle terrene iene i luoghi in cui giacciono le carcasse compassionevoli degli animali esanimi. Qualche insegna ha i colori ancora intatti del lilla, del verde e l'arancione sul grigio stinto della nuova povertà. Sembra una festa, quasi, nella quale s'insinua di soppiatto la luce giallastra delle scritte su fondo nero “compro oro”, che oscillano tra immagini di riti funebri e fuochi d'artificio.

Nulla sembra cambiato, oggi, a quel Monte di Pietà dove un tempo mani ansiose lasciavano le cose care in pegno a confraternite che tutelavano dai rischi infernali dell'usura. Schotrini e dechretti di antichi registri testimoniano dei secoli passati e come allora, nel silenzio che accompagna in chiesa il ritmo delle preghiere, sul banco di uno sportello si lasciano i ricordi di famiglia. Ma chi li compra, quando arrivano all'incanto, spogliati da tanto affetto? Strano destino quello dell'anello della nonna, della catenina del battesimo o dell'orologio di pregio portato sotto al polsino inamidato.

E intanto, ci si accorge che il pegno non basta più e che forse conviene la vendita diretta del vecchio quadro e del mobile intarsiato quando il volume delle bollette oltrepassa la paura dell'insolvenza.

Che parola strana che è l'insolvenza. In, non, solvere, slegare. Ha la stessa radice della solitudine ma i lemmi, si sa, nascondono segreti di un'apparente incomprensione, come l'incanto che nella fantasia bambina era solo la magia di una fata buona.

Ma, inverosimile, è che accanto a tutta questa slavata pietà per l'affanno quotidiano di sopravvivenza, ci sia un sistema economico che mozza il fiato con operazioni di mercato dove le grandi case d'asta battono opere d'arte a cifre stratosferiche, di milioni di dollari, che nel pensiero modesto delle famiglie si perdono in iperboliche comparazioni per comprenderne il rapporto con la busta-paga del 27. E non di autori antichi ma di artisti viventi.

E' difficile capire e spiegare tutto questo benché ci abbiano già provato alcuni autori: Donald Thompson con "Lo squalo da 12 milioni di dollari. La bizzarra e sorprendente economia dell'arte contemporanea"; oppure Alessia Zorloni con "L'economia dell'arte contemporanea. Mercati, strategie e star system", su eventi, mostre, aste o certificazioni con un potere di segnalazione molto alto che fa assumere qualità.

E' come se si fosse avverata la profezia di Benjamin: arriverà il momento in cui l'arte non varrà più per il valore intrinseco ma per il proprio valore espositivo.

Eppure, nelle sue contraddizioni sembra che questo mondo regali ancora qualche speranza.

Sfogliando le pagine di un altro libro ancora, "Investire nell'arte" di Claudio Borghi Aquilini, ci si accorge di quanto immutati siano gli accordi e le incoerenze della torre di Babele che è la vita se nel 1920, in Francia, l'autore racconta che “i quadri di Jean-François Millet valevano una fortuna mentre i familiari del defunto pittore vivevano in povertà”.

Tra le righe scorre la curiosità di consigli dispensati a piccoli risparmiatori e, sebbene un invisibile potere finanziario sorrida oggi con la sua faccia impassibile richiamando al dovere di un risanamento di debiti pubblici di cui i cittadini non hanno colpa, quei consigli non suonano di cattivo gusto. Perché l'arte è vista come risorsa. E perché nel libro si scopre un passato di capacità di costruire collezioni ben lontane dalle semplici raccolte di quadri “per impiegare capitali di dubbia provenienza come quelle rinvenute nelle abitazioni di alcuni boss della malavita”. Si susseguono, invece, esempi di collezioni di coppie che hanno condiviso il medesimo amore per l'arte e che in un tempo non lontano dai nostri giorni sono riuscite ad accumulare tesori artistici di pregio senza grandissime possibilità finanziarie, donate poi tutte ai Musei, come la Collezione dei coniugi Vogel nata investendo il salario di un portalettere o quella di Mera e Don Rubell, insegnante lei e medico lui, realizzata con un quarto di stipendio al mese; oppure di Giuseppe Panza di Biumo o Boschi Di Stefano.

E poi, come per incanto, qualcosa rimane ancora di intentato: nel modo di inventarsi esposizioni, di vendere nelle aste telematiche e di creare forum per sopperire e superare i vecchi schemi delle mostre un tempo finanziate con i vecchi fondi pubblici: come il sito ShTArt - Share The Art - per la condivisione e la possibile visione dal vivo di propri oggetti d'arte; o il forum di Finanzaonline. Così è il virtuale a danzar lontano dalle vecchie immagini, con scenari di lavoro del tutto nuovi in cui “non è difficile prevedere la nascita di grandissime opportunità per i giovani, legate alla miglior gestione e diffusione della straordinaria ricchezza di dati per la costruzione di un mercato sempre più efficiente. Anche per gli operatori esperti si dischiudono occasioni, posto che non tentino di aggrapparsi inutilmente al passato, … contribuendo alla selezione delle informazioni … e divulgando conoscenze a beneficio di tutti negli spazi virtuali delle discussioni”.


Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di giugno 2013

Ph Anna Maria Santoro 



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