Manolo Valdés

Le forme del tempo 

Palazzo Cipolla, Roma 

dal 17 ottobre 2020 al 25 luglio 2021 

a cura di Gabriele Simongini


Articolo di Anna Maria Santoro



 Il tempio della cultura, coi musei e le sue sale espositive d’arte, in tempi di pandemia apre e chiude le sue porte, con quadri e con sculture che, ignare, alternano momenti di solitudine a periodi di visite guardinghe. E’ accaduto anche a Palazzo Cipolla a Roma che ospita una settantina di opere eseguite da Manolo Valdés dai primi anni Ottanta a oggi, in una mostra inaugurata il 17 ottobre 2020, chiusa per l’emergenza epidemiologica dopo pochi giorni, ma visibile di nuovo, e in futuro, in tutta la sua bellezza.

Manolo Valdés, pittore e scultore originario di Valencia, ha oggi 78 anni; vive a New York e in Spagna. Nella sua arte, mutua immagini e personaggi dipinti nel passato e li converte in sculture gigantesche o in ulteriori dipinti.

Gabriele Simongini ne ha curato l’esposizione: storico, saggista, critico e docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Roma, ne spiega il significato, l’atmosfera e il valore:

D. - Perché Valdés a Roma e perché il titolo “Le Forme del tempo”?



R. <La mostra è stata ideata dal Prof. Emmanuele Francesco Maria Emanuele Presidente della Fondazione Terzo Pilastro-Internazionale che l’ha promossa, e realizzata da POEMA in collaborazione con la Galleria Contini di Venezia. Insigne mecenate, la cui famiglia ha antiche radici ispaniche, il Prof Emanuele da molti anni intrattiene privilegiati rapporti culturali con la Spagna. Inoltre, come ha scritto Henry James, “a Roma il tempo si disintegra”, e quindi, per forza di cose, proprio qui doveva prima o poi arrivare Valdés, il giocoliere del tempo lineare disintegrato e poi trasformato in opere dalla natura ibrida. Dai capolavori antichi Valdés estrae, geometrizzandola e rivitalizzandola con le lacerazioni e imperfezioni della materia e dello scorrere dei secoli, una sorta di forma archetipa, una “forma del tempo” (per parafrasare George Kubler) che diventa emblema figurale di un suo lungo e libero cammino nella storia dell’arte, dal Seicento all’informale e all’immagine pop fino all’installazione contemporanea nelle metropoli. E’ come se l’immagine prelevata da Valdés nel passato più o meno recente si fosse trasformata recependo i mutamenti dell’arte successiva fino ad approdare in una nuova veste davanti a noi>.






D. – Un esempio del tempo reinterpretato?

R. <In mostra sono esposte una grande “Infanta Margarita” in bronzo e un corteo di dieci “Reina Mariana”, ispirate a Velázquez. Come ha detto l’artista stesso, "dal XVII secolo ad oggi sono successe molte cose e quelle cose si rispecchiano anche nei miei quadri. Sicuramente non potrei fare una testa che nel Seicento fu dipinta a grandezza naturale e farla diventare alta due metri senza che il Pop mi avesse insegnato a farlo. Con il Pop ho imparato che quelle grandi scale avevano un impatto, ma anche altri mi hanno insegnato altre cose">.   






D. – Che cosa rappresentano per Valdés i libri e i reperti archeologici che realizza in legno?

R. <Anche queste sono forme del tempo trasformate in arte. In particolare nella grande “Libreria” del 2001 l’emblema monumentale della sapienza umana rivela nei ripiani sconnessi e traballanti una sua fragilità e la carta dei libri è riportata ad una delle sue matrici originarie, il legno degli alberi. In questo caso, l’opera stessa sembra nascere infatti da un’analisi concettuale che rimanda all’etimologia del latino “liber”, dall’antica radice slava “lubu” (corteccia), riferibile alla sottile pellicola di cellulosa tra la corteccia e la polpa di certi alberi adatta, prima che il papiro la soppiantasse, a farne materiale per la scrittura. Così, inutilizzabili ed illeggibili, quei volumi portano con sé l’invito ad una sorta di riappacificazione fra natura, arte e cultura>.   

D. – Perché l’artista fa uso di materiali tanto vari, quali marmo, bronzo, alabastro, ottone, ferro?

R. <Da homo faber che con le proprie mani cura personalmente la polifonia tecnica delle sue opere (come un sarto ha usato ago e filo per fissare insieme frammenti di tela e di tessuto), Valdés mette in pratica quel “rituale della materia” di cui ha parlato José Manuel Caballero Bonald: “lì si fondono tutte le premesse estetiche dell’artista e, perché no, dell’artigiano…La materia è la sostanza, ma anche il tema”. Lo stesso soggetto cambia completamente nel passaggio da una materia all’altra: pensiamo, solo per fare un esempio, alla “Infanta Margarita” o alla “Reina Mariana” realizzate di volta in volta in legno, marmo, bronzo, alabastro, ecc.>.  

D. - Nella mostra Lei propone un esperimento: la proiezione di un quadro di Velázquez su un’opera di Valdés, perché?

R. <Ho cercato di visualizzare in modo semplice e diretto, a beneficio del visitatore, l’apparizione di un’immagine che viene dal passato (“La Infanta Margarita Teresa con vestito azzurro” (1659) di Velázquez) e che per qualche secondo si imprime sull’opera di Valdés (il quadro “Infanta Margarita” del 1993), prima di scomparire, per sottolineare questo viaggio nel tempo dell’immagine poi trasformata dall’artista spagnolo. E’ la prima volta che viene realizzato un esperimento del genere, molto apprezzato dagli addetti ai lavori e dal pubblico>. 

D. - Come è vissuta dal mondo dell’arte la pandemia? E cosa pensa della chiusura dei musei?

R. <In tutti noi prevale un’attesa sospesa e stupita per quel che sta accadendo. E’ stato un brutto segnale quello di chiudere i musei senza pensare che sono i luoghi dove i rischi del contagio sono più bassi. Una decisione scellerata che ribadisce la distanza abissale che separa la politica dalla cultura. L’arte e la bellezza danno conforto, guariscono il dolore e si oppongono all’orrore da cui siamo circondati ogni giorno. In qualche modo combattono perfino la morte perché ci trasmettono la certezza consolatrice della nostra continuità di esseri umani nel tempo>.
























Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di febbraio 2021


Tutte le foto pubblicate in questa pagina sono tratte dalla cartella stampa dell mostra


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