Simbolismo

Palazzo Reale, Milano 

dal 3 febbraio al 5 giugno 2016 

a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi 

in collaborazione con Michel Draguet


Articolo di Anna Maria Santoro



 L'atmosfera della mostra a Milano sul Simbolismo fa pensare al lontano Discorso sul metodo di Cartesio del 1637: rende "simili a un cieco che per battersi alla pari con un vedente lo fa scendere in fondo a un sotterraneo molto oscuro".

L'ingresso è buio. Si ha paura d'inciampare. 

 Nella prima sala il pavimento e i pannelli bruni invocano la notte che raccoglie i sogni. Solo un faro guida e acceca, forzando lo sguardo sulla Demoniaca che giura solitudine e spaventa: una fanciulla emaciata e smunta ritratta nel 1893 da Joseph Middeleer coi papaveri dell'oppio campiti tutt'intorno; sono rossi; e vivi, su fondo nero. E allude, credibilmente, a I Fiori del male di Baudelaire e alla droga diffusa e usata da scrittori e artisti alla fine del secolo diciannovesimo. "Maledetti" sono i poeti simbolisti. Premonitori di orizzonti del pensiero, si sentono gli eletti.


Gli allestimenti dondolano tra cupe tinte e toni chiari; impongono messaggi di sgomento e poi consolatori, con visioni sospese tra estetismo e romanticismo, che giocano con le perversioni e che riadattano alle tele quelle scene mitologiche recuperate alla fine del 1800 anche dalla psicanalisi.

E' il 18 settembre del 1886 quando Jean Moréas pubblica su Le Figaro il Manifesto del Simbolismo con l'idea che la realtà nasconde il mistero del mondo e della vita, indicando in Baudelaire il precursore del movimento.

Fortunato è colui che "intende la segreta lingua delle cose mute", scrive Baudelaire nel 1857. E, ancora, "La natura è un tempio, ove colonne viventi lasciano uscire parole tanto confuse".

La mostra fa pensare agli scritti filosofici di Nietzsche e di Spinoza, e ai versi che Montale più tardi, nel 1966, dedicherà alla moglie Drusilla Tanzi defraudata della vista, affinché il mondo sia guardato "con gli occhi dell'anima" perché ascoltare era, per lei, il solo modo di vedere.

Ventiquattro sono le sale espositive connotate, tutte, da quella crisi del positivismo che alla fine del 1800 induce a dubitare della realtà esterna, ma anche della coscienza, e a penetrare il territorio dell'inconscio per scoprire il senso della vita e della morte, la fantasia, il sogno, il mito. E l'amore.

Nella seconda sala c'è Cleopatra, che Previati dipinge nel 1903, con gli occhi chiusi, la testa volta all'indietro. Si porta l'aspide sul seno; è ambasciatrice di sensualità e di morte, la stessa corrispondenza amata da D'Annunzio: "L'arte espanderà la sua nuova fioritura, originale e suprema, in un'atmosfera di sogno", scriverà il Vate sul Mattino.

E c'è il trittico con Le vergini savie e le vergini stolte del Sartorio, premiato all'Esposizione universale di Parigi nel 1899. La scena è tratta dal Vangelo secondo Matteo e l'ultima figura a destra, tra le vergini stolte, è Maria Hardouin moglie di D'Annunzio.

Franz Von Stuck, con Lucifero, ricorda le Litanie di Satana di Baudelaire: "Oh tu, che sei il più bello e il più sapiente degli Angeli, Dio tradito / dalla sorte, spogliato d'ogni lode, / Satana, abbi pietà del mio lungo penare!"

La mostra contiene anche un dipinto, raro, di Attilio Mussino illustratore del Corriere dei piccoli: Il Sogno, i sogni, un olio su tela dove una sacerdotessa appare avvolta dai papaveri.

Al capriccio del tempo circolare allude il dipinto di Previati col ritratto di una donna avvolta in un velo nero; vola sulle ali di un pipistrello. I suoi occhi sono chiusi: è la notte che abbandona solitaria la terra per fare spazio al sole, relegato come un fagotto in un angolo del quadro ma pronto ad avanzare al ritmo obbligato del suo viaggio.

Nel Silenzio della foresta di Arnold Böcklin, una figura femminile avanza a cavallo sull'unicorno, la bestia che non si lascia catturare se non da una vergine.

Nelle sale dedicate alla Biennale del 1907 c'è Il Poema della vita umana del Sartorio.

E poi Orfeo morto, di Jean Delville. E La Sirena che Sartorio dipinge nel 1893. Così ne scrive Pirandello: "si culla e s'abbandona la Sirena pallida, ... con mollezza tentatrice. Dall'alto del quadro una breve barca si piega a seguire l'onda; sulla barca, proteso e supino, un adolescente .... In quest'onda è tagliato con sommo ardire tutto il quadro. E vi par di sognare, guardandolo".

Nella sala dei Nabis, il gruppo degli artisti parigini concentra la ricerca sul simbolismo attraverso l'influenza delle stampe giapponesi; nel Mare giallo Georges Lacombe rappresenta la Bretagna: "Uomo libero, tu amerai sempre il mare / perché il mare è il tuo specchio", si legge in Baudelaire.

Nella sezione tematica numero dodici La donna fatale e la sfinge c'è Carezza, il quadro di Fernand Khnopff preso a simbolo della mostra: è un leopardo addomesticato dal volto di donna, è la sfinge che genera enigmi e sbrana chi non sa rispondere. Accarezza il viso di un giovane, è Edipo, l'unico uomo che sia riuscito a soggiogarla. La scena pare tranquilla e amorevole ma la coda della sfinge è tesa, pronta all'attacco. Sullo sfondo, una fila di cipressi concede un po' di vita a un deserto, come il belletto sul volto di una salma.

La realtà è, forse, soltanto la costruzione della nostra mente. Lo diceva Berkeley nel XVIII secolo. Perché non crederci?


Pubblicato sul mensile Il Borghese, aprile 2016

Milano, marzo 2016, la foto Del dipinto "The demoniac", 1893, di Joseph Middeleer pubblicata in questa pagina è tratta da wikipedia

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