Triennale 2016

Stanze, altre filosofie dell'abitare (XXI)

Milano, Via Alemagna n. 6 

dal 2 aprile al 12 settembre 2016

a cura di Beppe Finessi



Articolo di Anna Maria Santoro



 La casa ha un vestito di luce e di ricordi. Zeppa di tutto. Zeppa di nulla. Stanca quando si è stanchi, è il luogo dove i sogni e i miraggi orfani di concretezza diventano traguardi indubitabili; ed è capace di dare quella pace che ogni spazio esterno pare proibire.

Pensare alla vita quotidiana dentro le case può apparire come un gioco che ristora quando si entra alla Triennale di Milano in via Alemagna numero 6, nel Palazzo dell'Arte costruito da Giovanni Muzio in mezzo al verde di parco Sempione nel 1933, che al pianterreno ospita Stanze, una mostra di undici architetture di interni, realizzati in legno e cartongesso e curata da Finessi.



All'ingresso della Triennale, il bianco delle pareti viene incontro con la quiete distaccata e propria degli ambienti asettici, ma prelude a speranze e immagini complici di felicità.



Alle undici dimore in mostra, che si susseguono l'una all'altra, fa da prologo uno spazio riservato a foto che riassumono la storia degli interni disegnati dagli architetti del Novecento come Lupi e Joe Colombo.










La prima abitazione porta la firma di Elisabetta Terragni: dall'esterno di una finestra con gli scuri lasciati semiaperti si sbirciano un tavolo e forse un letto. A entrarci, la prospettiva appare subito deformata: le pareti sono sbilenche e non sviluppano, nei punti di contatto, angoli retti, ma ora ottusi ora acuti, in ambienti complicati e storti dove il tempo e lo spazio si confondono come nel sogno, con un richiamo a Freud e agli schemi non convenzionali dell'inconscio.

Dopo l'opera di Duilio Forte con l'ingresso a sauna, si apre lo spazio di Manolo De Giorgi: 










una somma di corsie che il filosofo Francesco Cataluccio ha collegato, in didascalia, alla Società liquida di Zygmunt Bauman, come relazioni umane che si compongono, si disgregano e si ricompongono in modo talmente rapido da risultare incerte e vulnerabili.

Chiamato alla Triennale per ragionare sull'arredo comparato alla letteratura e alla filosofia, Cataluccio ha associato gli undici progetti in mostra ad altrettanti scritti e teorie, come a porre un dialogo tra architetti e pensatori. Così a Carlo Ratti che ha realizzato Lift-bit, ossia sgabelli capaci di combinarsi tra di loro per costruire ora un letto ora un divano ora una sedia configurando lo stesso spazio in un ufficio oppure in un salotto, in auditorium oppure in una camera, ha scelto di abbinare il testo Nello sciame. Visioni del digitale di Byung-Chul Han. E a Risonanze di Andrea Anastasio, un tavolo un letto e un armadio in uno spazio abitativo diviso da una tenda trasparente posta al centro come una lama, ha collegato il libro di Gilles Deleuze La piega. Leibniz e il Barocco.



L'avventura prosegue alla scoperta di nuove tecnologie, del fotovoltaico organico, nel progetto di Claudio Lazzarini e Carl Pinckering: è una visione di tolleranza e mutua assistenza tra Scienza e Filosofia, rimandata al saggio di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti, La sfida della complessità, ma anche alle teorie di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti.



Quando si arriva alla settima abitazione, di Francesco Labrizzi, si odono le voci rimbombanti provenienti dalla casa successiva, Intro di Fabio Novembre. Ha la forma di un uovo, col guscio fatto di specchi. A entrarci, l'ingresso pare una bocca spalancata rivestita, all'interno, di pelle rosso scarlatto; due figure sono a guardia dell'entrata e richiamano, per forma, il Guerriero di Capestrano. Ci si siede. Stanchi: Chissà. Chissà perché le cose sono andate così. … Io voglio tutto ma non ho bisogno di niente. Un respiro profondo spezza le frasi. E' una festa la vita. Ma, perché sorridi? Non si capisce mai se giudichi o se assolvi … Ogni giorno … tutti dovremmo viverlo come fosse l'ultimo.

Dopo L'assenza della presenza di Marta Laudani e Marco Romanelli, si è stanchi fisicamente e il progetto successivo Le mie prigioni, di Alessandro Mendini, aggiunge alla fatica un senso di sfinitezza claustrofobica: non è facile percorrere gli interni all'interno di stanze all'interno di un palazzo! Si pensa alle illusioni ottiche della op art che disorientano. E ci si sbriga a uscirne fuori per non svenire per davvero.



Infine, la Petite Chambre di Umberto Riva di appena 16 metri quadrati abbinata al testo del filosofo francese Pierre Zaoui, L'arte di scomparire. E' una stanza monacale. E' il luogo per praticare l'arte di appartarsi con discrezione. … Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell'anonimato … La discrezione è un'arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s'impone l'urgenza di una tregua; di staccare; di sparire. La discrezione è, infatti, l'arte della scomparsa: … fino a rendere la propria presenza impercettibile: è aprirsi al mondo senza toccarlo, è gioia di “lasciar essere le cose”.


Viene in mente Holderlin: "Poeticamente abita l'uomo su questa terra". 


Pubblicato: Il Borghese agosto/settembre 2016



Milano, giugno 2016, ph  Anna Maria Santoro. Nell'ordine:


Ingresso esterno


Ingresso interno


Sala d'ingresso


Mostra sulla storia degli interni


Duilio Forte


Manolo De Giorgi


Andrea Anastasio


Alessandro Mendini


Umberto Riva



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