Ugo Nespolo

Galleria La Nuova Forma, Lanciano

novembre-dicembre 2014 

con introduzione di Elsa Betti 


Articolo di Anna Maria Santoro



 Alla Galleria La Nuova Forma a Lanciano Ugo Nespolo si presenta con un abito che stride con lo slancio dei suoi disegni: pantaloni neri, scarpe nere e maglia nera sotto a una giacca pure nera. Intorno a lui, invece, le sue opere sfavillano con le tinte dei gialli, dei rossi e dei blu mescolati puri, in un tripudio di colori che complica la comprensione della sua età.




Classe 1941, è diplomato all'Accademia di Belle Arti, laureato in lettere con una tesi in semiologia ma ha anche frequentato filosofia, indulgendo a letture di ermeneutica e annoverando tra gli amici più cari Ferraris, Lolli, Vattimo, Odifreddi e, in passato, Sanguineti con una frequentazione durata quarant'anni, e Alda Merini <ch'era di casa>.

Nel suo studio d'impeccabile lindore in via Susa in una fabbrica restaurata nel centro di Torino, sfida la tavolozza a infiltrarsi nel tedio quotidiano, e non solo per chi cerca il piacere di possedere un quadro o una sua scultura, ma anche per progettare figurazioni e segni che mutino la percezione di luoghi molto affollati: di cunicoli sotterranei della metro, di piazze e spazi aperti; oppure per affrancare mezzi consueti di trasporto dal senso di utilità che li intristisce, facendo diventare opere d'arte in movimento un tram, un pullman, una Vespa Piaggio e un'automobile Toyota. Trasforma le facciate dei centri commerciali. Disegna per gli orologi Swatch; per tazzine da caffè Ginori; per campagne pubblicitarie; e poi costumi e scenografie di opere liriche e, nel 2003, la maglia rosa del Giro d'Italia. Negli anni Sessanta con Mario Schifano, dopo l'incontro con Jonas Mekas, Yoko Ono e Paul Adam Sitney, con una telecamera riprende i più grandi artisti; sono film sperimentali la cui visione oggi affascina nei musei di tutto il mondo.

L'introduzione della mostra è curata da Elsa Betti.









<Sono andato negli Stati Uniti ch'ero giovane. Ho conosciuto Andy Warhol, ho visto gli esiti della Pop Art, ho iniziato a lavorare lì e poi a Torino, la città che in Italia ha più sperimentato e ha dato origine all'Arte Povera a cui ho partecipato. In quegli anni ho filmato Baj, Pistoletto, Merz e Boetti. L'unico film con Fontana l'ho fatto io nel '68>.



<Tutti i miei lavori hanno un desiderio di bella esecuzione, non dico un desiderio di bellezza, che sarebbe anche troppo perché definire la bellezza è assai difficile. Si potrebbe dire, come diceva il grande filosofo Roger Scruton, che la bellezza è una promessa di felicità, non è un oggetto fisico, è un ideale. L'idea di bellezza ha però molto a che fare con la bella esecuzione, che richiede un tempo, una lentezza e un cesello, come fa qualche scrittore con la parola. Penso a Italo Calvino, torinese, raffinato per eccellenza con la sua storia della leggerezza; o a Leopardi; o alla grande poesia russa con questa cura raffinatissima del lemma>.



<A me piace che l'arte possa mimare questo atteggiamento, essere raffinata nella ricerca, nella giusta posizione delle cose per ottenere un risultato, e quindi, non solo di facile e immediata esecuzione come per anni è stato dichiarato, cioè che l'arte sia un ready made, un oggetto già fatto, e che una cosa sia un'opera, anche se non l'ho fatta io! Invece reputo, e ancora di più oggi, che l'arte si debba fare lentamente, si debba pensare ed eseguire bene, e che possa spaziare anche in tecniche e discipline perché rompe l'idea di onnipotenza. Se si pensa alle avanguardie storiche, gli artisti intervenivano in tutte le situazioni: non bastava fare opere da mettere in un mondo vecchio, ma l'ideale era pensare a un mondo armonicamente più nuovo. Adesso è il momento di rivedere la funzione dell'artista, che non è questo cretino di genio che sa solo dipingere o fare, ma dev'essere anche intellettuale come accadeva nelle avanguardie del Novecento. Se pensiamo ai futuristi, ai surrealisti, ai cubisti e ai dadaisti, riflettevano, scrivevano e sapevano di che cosa parlare. M'interessa la figura dell'artista colto, con un'idea e un ideale, che possa pensare che la Storia non va verso il nulla o verso il baratro, per cui qualsiasi cosa può andar bene. No! Ma risponda a una linea, a una direttiva e poi la segua. Quindi nascono così queste mie opere, e poi l'idea di spaziare, come dicevano appunto i futuristi! Pensiamo a Depero e a Balla. Hanno lavorato in tutti gli ambiti, anche nei manifesti pubblicitari. Depero è stato il primo artista italiano che nel 1928 è andato negli Stati Uniti con una fatica immane, e sul biglietto da visita, originale, che io ho, non c'era scritto Depero artista ma Depero cuscini, paralumi, tappeti eccetera. Quindi l'arte vuole e deve occupare anche spazi che sembrerebbero minori, collaterali, poi questa storia del minore è tutta da discutere, ma, diciamo che l'arte occupa la vita, cerca di entrare negli interstizi della vita e di diffondersi in campi anche diversi, che non sono quelli del design, perché sennò uno compra uno spremiagrumi ed è un oggetto d'arte! No! Non è un oggetto d'arte! Quindi ecco, anche il mio studio, per esempio, non è uno studio, voi lo sapete, zozzo degli artisti che buttan tutto per terra perché creano nelle notti di tempesta, stupidaggini che abbiamo sentito dire, ma è uno studio che è una casa d'arte, come volevano le avanguardie storiche, come il Bauhaus tedesco, come la casa d'arte di Prampolini, di Depero, di Balla. Tra l'altro è un posto dove tu vai e potresti anche dirmi disegnami un tavolo o un oggetto in cui ci si può anche sedere ma che sia un oggetto d'arte, Be', perché no? E' compito dell'artista fare anche questo.

Poi, mi sono molto appassionato ai numeri. Il numero invade la nostra vita da quando ci alziamo a quando andiamo a dormire: per un conto, un orario o un telefono. Ma non è solo questo! Io mi sono occupato di un numero in particolare che è 1,618 infinito che è la sezione aurea, che ha molto a che fare con l'arte. Pensiamo a un pentagono regolare, prendiamone la diagonale, dividiamola per il lato. Darà 1,618 infinito. Voi direte: Beh?! Questo numero è quello che presiede alla creazione dell'arte dalla Piramide di Cheope ai giorni nostri. La piramide di Cheope è stata costruita su questa proporzione, quella che Luca Pacioli, questo grande matematico fiorentino che insegnava matematica a Leonardo, ha chiamato, appunto, sezione aurea, per gli inglesi golden ratio. Il frontale del Partenone di Fidia, il Palazzo delle Nazioni Unite, e così via, sono stati costruiti sulla sezione aurea, che è presente anche nelle sculture: nelle proporzioni perfette della Venere di Milo. E che cos'ha di straordinario?! E' che voi, se guardate un rettangolo costruito sulla sezione aurea, avete il senso di un equilibrio perfetto! Potrei dirvi delle cose che lasciano sorpresi: Eisenstein, nel fare la Corazzata Potëmkin dichiara che il fotogramma del film lo costruiva su questa misura aurea, oppure che, in natura, siccome i rami degli alberi crescono secondo la serie di Fibonacci, Fibonacci è un matematico pisano, la serie di Fibonacci è un'altra serie infinita dove ogni numero è uguale alla somma dei due numeri precedenti, ma quanto più voi salite nella serie di Fibonacci e prendete un numero e lo dividete per il suo antecedente, troverete sempre 1,618. Allora capite che il numero comincia a diventare interessante, nella creazione artistica, nella vita, e anche in quel simbolo di ideale utopico di razionalità perfetta ma creativa. La razionalità, a differenza di quanto la gente solitamente possa pensare, non è sterile! Io trovo per esempio che i matematici, i matematici puri, siano creativi>.


Pubblicato sul mensile Il Borghese, gennaio 2015


Lanciano, 29 novembre 2014, ph Anna Maria Santoro 









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