L'ostello della gioventù a Rosello
Padre Lorenzo
Chieti, giovedì 21 febbraio 2008
Articolo di Anna Maria Santoro
L'ostello della gioventù a Rosello, il piccolo Comune che in Abruzzo è situato nella Comunità Montana del
Medio Sangro, nasce un po' per
scherzo un po' per davvero quando, un po' per scherzo un po' per davvero, in una ridente giornata di primavera del 1971 il vigile urbano del paese dice a un frate cappuccino: «Padre Lorenzo, vuoi comprarti un pezzettino di terra da queste parti?» Un pezzettino!? Erano 4.000 metri quadrati!
Il frate in
questione è Padre Lorenzo, al secolo Giustino Polidoro classe 1932, parroco
della Chiesa di San Paolo Apostolo a Lanciano, un’amena cittadina a cinquanta
chilometri da Rosello. Professore di filosofia, non sa nulla di costruzioni né di prestiti o finanziamenti, ma l’idea di avere un luogo di ritrovo per i ragazzi
della sua parrocchia l’accarezzava già da qualche anno.
Barba bianca, occhi azzurri, «Con l'esperienza di oggi, un ostello lo farei
anche al mare!»
«Nel 1966», racconta, «c'era a Lanciano una zona nuova detta “dei gabbiani”, la chiamavano così, e i giovani che abitavano là non avevano la possibilità di andare in vacanza; quell’anno li portai in campeggio a Brusson ma, per loro, volevo un posto speciale così un giorno lo cercai a Borrello, a qualche chilometro da Rosello, dove ci conoscevo un frate; lì nei pressi c’era una pineta; quel luogo si prestava davvero! Ci portai i ragazzi che all'inizio vennero ospitati nella casa del pastore: era una vecchia abitazione costruita con i fondi della Cassa del Mezzogiorno; la rimisero in sesto rifacendo il pavimento e le condutture dell'acqua. La tenemmo qualche anno».
Quando nel 1971 gli viene proposto l’acquisto di un terreno nella pineta di
Rosello, Padre Lorenzo non ci pensa due volte: «Stipulammo l'atto l’anno dopo, nel 1972, con i
soldi guadagnati dai ragazzi andando di casa in casa
a consegnare gli elenchi telefonici; quei giovani non stavano nella
pelle per la gioia; i più grandi abbozzarono anche il progetto e
fecero la domanda per i cantieri-scuola e i finanziamenti pubblici. I lavori cominciarono che
c'era la neve alta. Faceva
freddo. Era il mese di febbraio. Andavamo a prendere l'acqua a una fontanina a cinquecento metri e spesso dovevamo metterci un po' di fuoco per far sciogliere il giaccio. Alla
pineta non ci arrivava nemmeno la strada, alcuni
tratti erano di roccia, che dovemmo scavare
con le mani».
I ricordi che affollano la mente di Padre Lorenzo sono tanti: «Un
giorno durante i lavori, tenevamo una fame che non finiva mai, alla fine
abbiamo chiesto aiuto a una signora: "meno male che mio marito è tornato
mò a casa e ha riportato una “schiera” di pane!"»
Il progetto va avanti a spizzichi e bocconi. «Riuscimmo a
realizzare solo il rustico del piano
terra».
Ma Padre Lorenzo crede nella Provvidenza: la chiama "i fioretti di
San Francesco".
E il primo fioretto di San Francesco arriva, nelle vesti di "Zio
Pan".
Zio Pan, alias Pantaleone Stella, era stato professore all'Istituto
Tecnico Industriale. 73 anni. Impresario edile. Nel mese di febbraio, è il
1976, avendo dieci
operai fermi per quindici giorni, dice: "Padre Loré, vogliamo
finire Rosello?"
«Partimmo. Con quanto
disagio abbiamo lavorato! Allora non c'era la superstrada. Si partiva la
mattina alle sei e mezza da Lanciano, con la macchina, perché gli operai non
volevano restare a dormire lì. "Padre Loré, tu devi sapere che li cill la
sera rivanno al proprio nido" mi diceva uno di loro che si chiamava Carlo. Oltre a Carlo c'era mastro Gerardo, molto in gamba. C'era Domenico.
C'era Nicola. A pranzo andavamo a mangiare da Quinto, un signore che aveva rilevato la
casa del pastore, quella stessa che avevamo tenuto noi
per qualche anno: l'aveva adibita a trattoria.
Io vorrei fargli un monumento a Zio Pan, perché non ha mai voluto essere pagato».
Finiti il piano terra e il rustico del primo e del
secondo piano, Stella suggerisce di chiedere un prestito.
«Non ero mai entrato in una banca per un mutuo, un fido, un qualche
accidenti insomma".
La perizia la fa un certo Arnaldo La Morgia: «Però! Non è mica una
casetta quella! E' un casone: 969 metri quadri», gli
dice incontrandolo per caso.
Padre Lorenzo, che non sa nemmeno che cosa sia una perizia: «Ma
tu, che ci sei andato a fare a Rosello?» «Sono andato lì per la banca!» «Per
la banca?» Si stupisce.
Gli concedono un mutuo di trenta milioni di lire.
Dopo sette mesi, al telefono, la banca: «Questo scoperto, padre, deve rientrare!» «Rientro. Rientro all'una e mezza non appena
finisco la scuola».
Quando gli dicono che "rientrare" significa restituire subito
almeno tre o quattro milioni, non capisce più niente. Non
sa come fare. In tasca ha solo centoventi lire.
Ma ecco un altro "fioretto di San Francesco": «In quel periodo andavo ad
allenare la squadra di pallavolo e il custode della palestra, un certo Gino, di
soprannome Lambasta, claudicante e povero, vedendomi
pensieroso: “Che ti è successo?” "Mi è successo ...". Tempo pochi giorni, mi gettò sul
tavolo cinque milioni di lire. Erano i
risparmi di una vita, che Lambasta era riuscito a mettere da
parte poco alla volta vendendo i panini
alle feste patronali. Quando Gino è morto e ho detto la Messa, l'ho raccontato in pubblico questo episodio, per dire
che spesso i poveri sono più disponibili e generosi di quelli che hanno i soldi. Poi, si
mobilitarono in molti: per i finanziamenti, per i mezzi di trasporto,
perfino per le sedie. Quando camminavo
per Lanciano mi prendevano in giro perché chiedevo i camion in prestito a
tutti, per portare i materiali. Ricordo che i camion me li dava Cesare Di Menno, che faceva il marmista e che vive ancora. Ma anche Vincenzo Di Biase. E
Filippo Di Biase. Persone molto in gamba che avevano imprese. E altri.
Io posso dire che è stato un lavoro davvero comunitario».
Molti soldi provengono dalle offerte. Finalmente nel 1980 ottengono un
mutuo dalla Regione. Ma tante sono le persone che da Lanciano vanno a Rosello
per prestare la loro opera. Gratuitamente. I creditori, poi, sono tutti
pazienti.
Arriva il giorno dell'inaugurazione: il 18 maggio 1982.
Tutta Lanciano è lì, a Rosello, a festeggiare: una ditta di Lanciano
fornisce piatti e bicchieri di plastica. La Peroni mette a disposizione
centinaia di sedie perché quelle comperate per l'ostello non erano state
consegnate in tempo.
La gioia si tocca con mano.
Per un periodo quella costruzione funge da albergo. Tre piani: per
riunirsi, per giocare, per mangiare, per dormire, per cantare. Per pregare.
Ottantaquattro posti letto e
una capacità di accoglienza di centottanta persone.
Da cinque anni l'ostello è gestito da un'associazione, dato
in uso a gruppi di azione cattolica, scout, sportivi.
«Io credo che la maggior parte dei ragazzi di Lanciano siano passati
o nelle strutture sportive della SPAL calcio e palla a volo, oppure siano stati
al campeggio a Rosello. E questo fa capire che noi dovremmo pensare un po' di più agli altri.
Se le avessi capite prima, certe cose, le avrei
fatte prima.
Mi sono sempre sforzato di mettermi non al di qua del tavolo, ma al di
là.
Credo che la cosa più bella che Gesù abbia detto sia questa: “qualunque cosa farete all'ultimo dei miei fratelli l'avete fatta a
me"».
I ricordi di Padre Lorenzo sono tanti.
Un esempio: «Quando cominciai ad andare a Rosello conobbi un
vecchio prete, un certo don Peppino. Io andavo a casa di questo e la signora mi
diceva “non c'è!" La prima volta, la seconda volta, la terza. Ma possibile
che non lo trovo mai?
In realtà la perpetua rispondeva così perché ero giovane e aveva paura
che mi scandalizzassi. Un giorno mi disse “don Peppino sta alla cantina”.
Andai alla cantina:
“Padre, qui sono tutti anziani. Se non li trovo qui questi vecchi, io non li
trovo mai" mi disse. "Questi in chiesa non ci vengono. Qua stiamo
caldi, ci facciamo una partitella, ci beviamo un bicchiere".
E ho capito. E ho pensato: ma vedi un po', questo prete, solo solo, viene a trattenersi
con gli anziani del paese in cantina, e poi la sera se ne torna a casa».
Oppure, un aneddoto: «Il signore che ci aveva venduto le sedie l'ho fatto aspettare così tanto per il pagamento! Un giorno
fu ricoverato in ospedale e le figlie: “Papà ti saluta. Papà è diventato molto
devoto, vedi, ti manda sempre i saluti”. Io ridevo e pensavo “lo so io perché
mi manda i saluti”, perché voleva essere pagato. Quando è uscito è venuto da me
e mi ha detto “quello che mi hai fatto tu non me l'ha mai fatto nessuno”.
“Guarda che i soldi non te li ho dati, non per farti allungare il dente, perché non ce li avevo proprio!" Insomma, l’avevo fatto aspettare cinque mesi. Non molto, non molto veramente, visto che il giorno dell'inaugurazione non avrei saputo dove far sedere
la gente se non ci fosse stata la ditta Peroni ad aiutarmi!
Qualche anno fa Pantaleone Stella è venuto a mancare.
Quando zio Pan è morto, non sono riuscito a
celebrare la Messa. E' un pensiero che mi porto dietro. Un pensiero fisso.
Dovrei fargli un monumento e invece non sono riuscito a celebrargli la Messa!
Solo perché io non ero più il suo parroco; ero stato trasferito a Chieti, alla Chiesa di
Mater Domini, e quando sono
arrivato a Lanciano mi avevano preceduto, e io sono rimasto ai banchi, ad ascoltare la Messa.
E chi ha celebrato non ha detto una parola di ringraziamento per il suo
lavoro, che indubbiamente non ha fatto né per Padre Lorenzo né per i frati. L’ha fatto per i ragazzi.
Lascerò la casa di
Rosello al Comune di Lanciano. Se poi il Comune
intenderà venderlo, allora il ricavato dovrà destinarlo a borse di studio per i
giovani di Lanciano.
Mi pare giusto. L'ostello è di Lanciano e deve tornare a Lanciano: i
nostri frati non ne hanno bisogno perché hanno tanti conventi; la diocesi non
l'ha voluta perché c'è un'ipoteca per il mutuo dell'ultima ristrutturazione. E
poi non è giusto che vada ad altri perché molte persone vogliono raccogliere
dove non hanno seminato»
