BIENNALE DI VENEZIA 2019 DOPO I GIORNI DELLA VERNICE 

(58esima edizione)

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A VENEZIA UN BREVE PERCORSO DOPO LA VERNICE

 

di Anna Maria Santoro


 

Dopo i giorni della Vernice a maggio, la folla estiva che arriva a Venezia non visita soltanto i luoghi della Biennale, quest’anno aperta fino al 24 novembre, ma si dissemina per tutta la città sicché si crede, o ci si illude di credere, di poter vedere le mostre d’arte senza calca e in tempi che non hanno necessità di essere misurati.



A vincere il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale è stata, quest’anno, 2019, la Lituania. Ha presentato il tableau vivant dal titolo Sun & Sea (Marina) ideato da Rugilė Barzdžiukaitė, da Vaiva Grainytė e da Lina Lapelytė a cura dell’italiana Lucia Pietroiusti. L’installazione è costruita a mo’ di spiaggia a Fondamenta Case Nuove, allestita all’interno di un magazzino della Marina Militare, al pianoterra. Il percorso sull'acqua per raggiungerla, col vaporetto 4.1, apre lo sguardo su una Venezia così tanto preziosa: 





 Oltre i bagliori del mare si vedono, lontane, le mani di 15 metri volte verso il cielo create da Lorenzo Quinn e installate all’Arsenale Nord; osservate dalla laguna anziché dalla terraferma danno l’idea di un’inutile preghiera, tanto appaiono piccole; quando si guardano le cose, le prospettive differenti attribuiscono differenti significati che annullano la realtà in sé.




 Alla stazione galleggiante di Celestia, il termometro segna trenta gradi e a Calle de la Celestia gli scurini delle case sono quasi tutti chiusi. Sembra un luogo disabitato, ma qualche vaso con i fiori, dei giocattoli sui balconi e panni stesi da una finestra all'altra rassicurano: c’è vita; è una Venezia appartata e in solitudine.




 Il silenzio è assordante sicché, quando si svolta al primo angolo, ciò che appare è inaspettato: la fila per visitare il Padiglione della Lituania si estende per tutto il lato di un caseggiato, gira, continua sul fianco attiguo e prosegue, interminabile, su Campo della Celestia dove si affaccia, muto, l’ex convento delle monache cistercensi.    

Senza alcun conforto d’ombra e in attesa in piedi per molte ore, ci si chiede che cosa porti l’uomo a tanto sacrificio, fisico e mentale. Forse si spera di trovare, nell'estensione della meraviglia, una condizione di sicurezza.




 Quando si arriva all'ingresso si attraversa un giardino, chiuso a un lato da una grata con cartelli e divieti, Zona militare; si entra in un magazzino e da una scaletta di legno ripida si sale su un ballatoio; da lì, si vede la performance sottostante: una ventina di persone in costume da bagno sdraiate sugli asciugamani; c’è una coppia di gemelle adolescenti; c’è una giovane famiglia composta da padre, madre e figlioletto al seguito; ci sono ragazzi, donne e uomini di mezza età e fanciullini. Qualcuno legge, qualche altro prende il sole, finto; c’è chi indossa l’auricolare di un iPhone; c’è anche un cane e, abbandonati sulla sabbia, una bici, un cappello, qualche paio di ciabattine, un salvagente e un pallone colorato.

 

Sembra un non-luogo teorizzato da Marc-Augé, privo di identità, di relazioni e di storia che tuttavia diventa uno spazio con una propria fisionomia culturale e sociale che porta l’attenzione alla musica di sottofondo, un’opera lirica cantata in playback dai finti bagnanti. Il libretto è attaccato con una corda al parapetto del ballatoio. La sinfonia è dapprima straziante poi straniante, infine eterea. Fa confondere. L’opera-performance si ripete ogni sabato fino alla fine della Biennale, con personaggi sempre diversi reclutati tra volontari che si offrono come comparse.



Col desiderio di leggere l’arte come nesso tra creazione e vita, si pensa all'isola di San Giorgio Maggiore che fino al 13 ottobre ospita una serie di opere dell’artista Sean Scully.



L’isola, anticamente detta dei Cipressi, si trova davanti a San Marco. E’ l’acqua che unisce una parte della città all'altra come lo spazio che nella filosofia parmenidea collega una cosa all'altra in una totalità non divisibile. 





Vi si arriva col battello numero 2 che approda davanti alla basilica cinquecentesca del Palladio. Secondo Scully "Quando vieni a San Giorgio devi essere preparato, devi incontrare la maestà del passato"


  

 

 Entrando nella basilica, la sua installazione dal titolo Opulent Ascension si prefigura come sogno di un’avventura; pare che tocchi il cielo attraverso la cupola: è una torre altissima e colorata posta al centro del transetto ispirata al passo biblico in cui Giacobbe immagina una scala fino al Paradiso. Nel silenzio della basilica ancora consacrata al culto entra una donna, si ferma, guarda in alto, spalanca le braccia e rimane così, immobile per qualche istante.



Viene in mente la scultura di nove metri in foglia d’oro eseguita da Jan Fabre per misurare l’incommensurabile, The Man who Measures the Clouds, collocata all’esterno di Palazzo Balbi Valier e visibile dal Canal Grande. L’opera, come sostiene lo stesso Fabre, rappresenta la "metafora dell’artista che cerca di catturare l’impossibile attraverso il suo lavoro", ispirata alla filosofia di Protagora: l’uomo è l’unità di misura di tutte le cose, capace perfino di dimostrare che una tesi A può essere vera quanto una tesi B anche se reciprocamente contraddittorie, ma solo sul piano logico.

© RIPRODUZIONE VIETATA


Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero agosto/settembre 2019 


Venezia, giugno 2019, video e ph Anna Maria Santoro ©© RIPRODUZIONE VIETATA


Fotografati, nell'ordine di pubblicazione:

Venezia

Padiglione della Lituania: "Sun & Sea (Marina)"

Arsenale Nord: Lorenzo Quinn, "Building Bridges"

3 foto di Venezia

Padiglione della Lituania: "Sun & Sea (Marina)"

Isola di San Giorgio Maggiore

Fermata della linea 2 del vaporetto

Basilica cinquecentesca del Palladio nell'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia

Sean Scully, Opulent Ascension, opera collocata all'interno della Basilica di San Giorgio Maggiore

Jan Fabre, "The Man who Measures the Clouds", opera collocata all’esterno di Palazzo Balbi Valier 

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