Andy Warhol

La pubblicità della forma 

Fabbrica del Vapore, Milano 

dal 22 ottobre 2022 al 10 aprille 2023 

a cura di Achille Bonito Oliva 

con la collaborazione di Edoardo Falcioni


Articolo di Anna Maria Santoro



 La "Fabbrica del vapore" è nella zona Nord di Milano. E’ un complesso di edifici dedicati all’arte che deve il nome alle industrie nelle quali nei primi del Novecento venivano fabbricate carrozze a trazione a vapore per ferrovie e tramvie. Dopo vari interventi che ne avevano modificato l’assetto originario, nel 2000 l’intera area viene ristrutturata diventando uno spazio per set cinematografici, sfilate di moda, laboratori creativi, spettacoli, performance e mostre.



Entrando, si ha l’impressione di essere in un luogo dove l’attività di un tempo, in cui il prodotto aveva un fine utilitaristico, si trasforma in una dimensione creativa nella mostra "Andy Warhol. La pubblicità della forma" nella quale il prodotto non risulta né merce né completamente arte, nell’accezione heideggeriana.   

Curata da Achille Bonito Oliva con la collaborazione di Edoardo Falcioni, e visitabile fino al 10 aprile 2023, con oltre trecento opere tra cui dipinti, serigrafie, disegni, fotografie, cover, T-shirt, immagini di fiori psichedelici, di incidenti d’auto e sedie elettriche, essa si articola in sette aree tematiche: l’arte pubblicitaria; le icone; le drag queens; i rapporti con la musica; il mondo della moda; i nuovi simbolismi; il rapporto con il sacro.



Nato in Pennsylvania a Pittsburgh nel 1928 da immigrati slovacchi, Warhol apprende i primi rudimenti di pittura all’età di otto anni dalla madre. Quando nel 1942 perde il padre, riceve in eredità una somma di denaro che gli consente di proseguire i suoi studi. Dopo la laurea nel 1949 in disegno pittorico, si trasferisce a New York con l’obiettivo di intraprendere la carriera di pubblicitario modificando il suo vero nome, Andrew Warhola, in Andy Warhol. Negli anni Cinquanta lavora per rotocalchi quali "Vogue", "Glamour", "New Yorker" e "Harper’s Bazaar". "Quando disegnavo scarpe per le riviste" - si legge nel catalogo della mostra che riporta anche alcune testimonianze che lo stesso artista aveva rivelato nel suo libro «The philosophy of Andy Warhol: from A to B and back again» - "prendevo una certa somma per ogni scarpa, così contavo le scarpe per calcolare quanto avrei guadagnato. Contandole, sapevo di quanto denaro avrei potuto disporre". Quel libro, in realtà, è una biografia-autobiografia, redatta da Pat Hackett e Bob Colacello sulla base di conversazioni e interviste registrate con il fine di essere pubblicate.





Quando Warhol crea le prime opere d’arte, la critica lo stronca perché realizza i lavori con la tecnica della serializzazione: su grandi tele riproduce molte volte la stessa immagine, di personaggi famosi e marchi commerciali, alterandone i colori. Nel 1962 alla "Ferus Gallery" espone trentadue tele di identiche dimensioni che raffigurano, ciascuna, i barattoli di zuppa "Campbell’s". Farà la stessa operazione con i ritratti di molte celebrità: Marilyn Monroe, Mao Zedong, Lenin, Liza Minnelli, Susanna Agnelli, Michael Jackson, Brigitte Bardot, Elisabetta II, l’imperatrice iraniana Farah Pahlavi. Nel 1963 realizza "Thirty are better than one" con il volto di Monna Lisa raffigurato trenta volte su un’unica tela: "La Gioconda viene trasformata in un’opera di tutti e per tutti" scrive Edoardo Falcioni, "compito dell’artista non è più creare, ma riprodurre" come in un’azienda. Ed è all’idea di azienda con dipendenti e collaboratori che si ispira il primo studio di Warhol nel 1962: lo chiama "Silver Factory". E’ un luogo di incontro di creativi, al quinto piano del 231 East 47th Street a Midtown Manhattan, nel quale dà vita a quadri, film, copertine di riviste, perfino una rivista. Nella mostra alla "Fabbrica del vapore" esso è ricostruito fedelmente: con un divano rosso e le pareti argentate. Dal 1968, anno in cui subisce un attentato all’interno di quello studio, Warhol cambierà diverse sedi ma conservandone sempre il nome: "The Factory".


 



La sua genialità non è compresa immediatamente dal gallerista Leo Castelli che cede alla richiesta di Jasper Johns di non ammetterlo nella sua scuderia. Lo accoglierà solo nel 1964 dopo la personale alla "Stable Gallery" di New York in cui Warhol espone le "Brillo Box", anch’esse in mostra a Milano: "Si tratta di sculture identiche alle scatole di pagliette saponate Brillo in vendita nei supermercati", si legge nel testo di Falcioni, che vennero realizzate in legno con etichette serigrafate, come le originali. L’arte di Warhol è quella di portare nei musei le immagini di prodotti, quali "Campbell’s, "Coca Cola" e hamburgers, che fino ad allora erano prerogativa dei supermercati: "Il teatro di Warhol è l’America dove la merce è la grande madre" scrive Achille Bonito Oliva. E non a caso la prima sala accoglie i visitatori con la "BMW M1" che nel 1979 partecipò alla "24 ore di Le Mans" dopo che Warhol l’aveva dipinta in soli ventotto minuti facendosi riprendere da una telecamera e dichiarando «Ho provato a mettere in immagini la velocità».

La mostra contiene anche riflessioni sul sacro, in "The Last Supper" realizzata poco prima della morte nel 1987.


Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di febbraio 2023


Le foto pubblicate in questa pagina sono tratte dalla cartella stampa dell'Ufficio Stampa. 

Nell'ordine:

Andy Warhol, Fiori, foto di Giovanni Daniotti ©

Andy Warhol, Autoritratto e liz Talor, foto di Giovanni Daniotti ©

Andy Warhol, Campbell e Marilyn Monroe, foto di Giovanni Daniotti ©

Andy Warhol, Marilyn Monroe, foto di Giovanni Daniotti ©

Andy Warhol, La Gioconda, foto di Giovanni Daniotti ©

Andy Warhol, Mao, foto di Giovanni Daniotti ©

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