BIENNALE DI VENEZIA 2022 

(59esima edizione)

IL LATTE DEI SOGNI

LA VERNICE


di Anna Maria Santoro



 

La laguna di Venezia viene incontro in Via della Libertà nel punto in cui la strada si stacca improvvisa dalla terraferma. E’ tanta la sua bellezza a cui si aggiunte, nel labirinto di calli e di campielli tra i canali, la bellezza di una Biennale d’Arte che, quest’anno, ha un titolo che rimanda all’Inconscio: Il latte dei sogniE’ stato scelto dalla curatrice Cecilia Alemani, mutuato da un libro di fiabe che Leonora Carrington aveva scritto e illustrato nel 1950 originariamente sulle pareti di casa: Carrington, compagna per qualche tempo di Max Ernst, rinchiusa più volte in manicomio, narrava storie fantastiche in cui tutti potevano trasformarsi. Analogamente, l’intera Biennale è un viaggio immaginario, con opere dalle forme reinventate che esposte ai Giardini, all’Arsenale, nei Palazzi e nei luoghi più reconditi di Venezia scandiscono tre aree tematiche: «La rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi», «La relazione tra gli individui e le tecnologie» e «I legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra».


 Cecilia Alemani, 45 anni nata a Milano, nominata curatrice poco prima della pandemia che ha fatto slittare l’evento dal 2021 al 2022, a causa del lockdown ha potuto dialogare con gli artisti solo online, connessa ore e ore su Zoom dal suo appartamento di New York; e quando il 24 febbraio 2022 sono iniziate le operazioni belliche della Russia in Ucraina, anche i trasporti internazionali e gli invii delle opere sono divenuti difficili. Si pensa, così, al passato, e alle parole di Giovanni Ponti presidente dell’edizione del 1948 all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: «L’umanità, stordita dalle angosce e dai tormenti patiti, accolga l’invito che le viene da questo convegno di artisti». Ma poi, quando si arriva ai Giardini, sede storica della Biennale fin dalla prima edizione del 1895, il Padiglione della Russia è chiuso e nello Spazio Esedra, a pochi metri, il dolore per la guerra che nell’Europa dell’Est è ancora in corso si manifesta in un’opera con sacchi di sabbia accumulati; il suo titolo: Piazza Ucraina; per contro, poco più in là, il collage di immagini di popoli di tutto il mondo, dell’artista tailandese Navin Rawanchaikul, si percepisce come un segno di pace.



Alzando lo sguardo, gli ippocastani dei viali hanno frutti rinsecchiti accanto ai nuovi. Con l’idea di una Natura che consente coesistenze, si accede al Padiglione della Spagna: ha pareti bianche costruite internamente alle sale, per allineare l’edificio con quelli accanto; ma l’azione correttiva dell’artista, Ignasi Aballì, manifesta l’impossibilità di coesistenza di due spazi senza che entrambi facciano rinunce. Segue il Padiglione del Belgio con i video di Francis Alÿs sui giochi infantili: nel suo cortometraggio Haram Football, un gruppo di ragazzi gioca a calcio senza il pallone; è stato girato nel 2017 in Iraq dove, due anni prima, alcuni adolescenti erano stati giustiziati dall’ISIS per aver guardato una partita in televisione.

 



Nel Padiglione dell’Ungheria Zsófia Keresztes presenta sculture rivestite di tessere musive: rappresentano parti di corpo collegate da catene che tendono, idealmente, a una forma unitaria. 





Il Padiglione degli Stati Uniti, trasformato in una casa col tetto di paglia, accoglie le sculture di Simone Leigh, insignita del Premio Leone d’Oro, che all’Arsenale espone anche altre opere, tra cui Brick House: un gigantesco busto in bronzo di una donna di colore. 




L’installazione di Gerardo Goldwasser, dell’Uruguay, è invece un insieme di rotoli di tessuto nero: invita a riflettere sul modo di essere percepiti in base all’abito; un sarto prende le misure: ne risulta una performance con momenti di esitazione e una nuova percezione del proprio corpo. 






Si prosegue attraverso i mondi transumani della Danimarca; tra i coloratissimi quadri del Venezuela; tra le famiglie di Sami che si lasciano fotografare nel Padiglione dei Paesi Nordici. All’uscita delle sale della Corea del Sud s’apre alla vista la laguna; il pensiero va a Wittgenstein: «Quanto al suo mostrarsi, l’inesprimibile lo fa in silenzio».




Nei Padiglioni della Germania, della Gran Bretagna, Premio Leone d’Oro, e della Francia, menzione speciale, le file sono interminabili; qualcuno rinuncia; qualche altro brinda nell’attesa.





In mezzo alla ressa dei pellegrini della cultura, che quasi soffoca, si ha il bisogno di fermarsi su un prato che si allarga oltre un piccolo pontile. Tra i gabbiani che scacciano i piccioni per niente spaventati, molti visitatori fanno uno spuntino, scambiandosi impressioni e informazioni.



In una Biennale blindata, con l’obbligo di mascherina FFP2, elicotteri nel cielo e agenti di Polizia e Carabinieri a piedi oppure sugli acquascooter nei canali, si riprende a visitare la mostra dopo la sosta, ma le opere sono tante, ed è difficile vederle tutte. 






Il Padiglione Centrale, che ospita anche tre delle cinque capsule del tempo con miniesposizioni a carattere storico, ospita sculture e dipinti che ci ricordano la nostra precarietà: sono i corpi ibridi in cristallo di Andra Ursuta; le forme biomorfe in canapa di Mrinalini Mukherjee; le figure aliene di Hannah Levy.




C’è una netta maggioranza di artiste. La ragione è da cercare, forse, in un aneddoto che la stessa curatrice ha raccontato in uno dei volumi illustrativi della Biennale: qualche anno fa, Cecilia Alemani aveva acquistato una copia usata del catalogo del 1948, «era appartenuta a una ragazza» che, nella prima pagina, aveva scritto il suo nome, Lucia, e l’indirizzo, «Foresteria studenti, Scuola Giustina Renier Michiel n° 1884», mentre nelle pagine successive aveva annotato alcuni commenti sulla mostra, e un appunto: «Dove sono le donne?»




L’Arsenale dista poco: lungo il percorso, c’è il giardino della Marinaressa con gorilla monumentali dai colori elettrici, costruiti in sagome sfaccettate da Richard Orlinski. 




Più avanti, a Riva San Biasio, un suono di sirena antiaerea proviene dalla mostra dell’artista ucraina Zhanna Kadyrova dal titolo Palianytsia che significa pane; non fa parte del Latte dei sogni perché il Padiglione dell’Ucraina è all’interno dell’Arsenale nella Sala d’Armi con un’opera di Pavlo Makov, composta da settantotto imbuti disposti a piramide, in cui l’acqua si divide in flussi che alimentano gli imbuti sottostanti, ma solo poche gocce raggiungono il fondo: è simbolo di esaurimento delle risorse naturali. I pani di Zhanna Kadyrova, invece, sono sassi tondeggianti levigati dal fiume della piccola cittadina dove l’artista si è rifugiata allo scoppio della guerra. Zhanna li ha tagliati a fette: «Gli occupanti russi non riescono a pronunciare correttamente la parola Palianytsia», ha dichiarato, «sicché essa è diventata come un codice che permette di riconoscere gli amici dai nemici». Si pensa alle parole del Vangelo di Matteo: «Se sei Figlio di Dio, trasforma queste pietre in pane».




All’Arsenale ci si mette di nuovo in fila tra persone alte, basse, scure, coi capelli colorati, vestite in modo impeccabile oppure eccentrico; sono tutte diverse; ma c’è una cosa che accomuna: si parla in lingua inglese, anche tra italiani.

In mezzo alla folla, ci si chiede che cosa esattamente si cerchi nella Biennale: nell’oggetto dell’Arte, forse si vede quella dimensione lacaniana del Reale che nella realtà del quotidiano sfugge.




La sala con l’opera di Delcy Morelos odora di fieno, di spezie e di cacao: è un labirinto costruito con pareti di terra pressata; 





poco distante, i dipinti su seta di Emma Talbot fanno da scenografia alle sue sculture in tessuto e cartapesta con un titolo mutuato da Gauguin: Where Do We Come From, What Are We, Where Are We Going?



 

Le opere di Elias Sime, invece, sembrano dipinti acrilici, ma guardate da vicino se ne scopre una fattura diversa: un intreccio di fili elettrici e microchip.




Seguono le forme di vita preistorica di Teresa Solar, 




e i video di Lynn Hershman Leeson sull’intelligenza artificiale. 





L’esposizione continua con una nuova successione di Padiglioni tra cui emerge Malta, che reinterpreta la Decollazione di San Giovanni Battista di Caravaggio: sono sette vasche riempite d’acqua, disposte al buio secondo lo schema spaziale dei sette soggetti del dipinto, che accolgono gocce incandescenti di acciaio fuso, provenienti da una struttura sovrastante, che vanno a spegnersi con un ritmo che ricalca il tema musicale della Missa Mundi di Charles Camilleri. 




Quando si arriva al Padiglione Italia, c’è un invito al silenzio: dopo le stanze con le complesse installazioni di realtà industriali, di Gian Maria Tosatti, si entra nella poesia di una sala buia con l’acqua e le lucciole.




Una piccola imbarcazione porta all’Arsenale Nord dove, al sopraggiungere della notte, viene ancorata la piattaforma galleggiante con un dipinto di Saype, due mani che si stringono, che di giorno solca le acque della laguna.



I Padiglioni proseguono alla Giudecca, a San Servolo, a Cannaregio, a Riva degli Schiavoni, insieme a una miriade di eventi collaterali che accompagnano ovunque l’incedere dei turisti: Lucio Fontana nel negozio Olivetti a San Marco, Angela Su a Campo della Tana o Vera Molnár a Murano. E infinite altre mostre, che a Venezia sono contemporanee alla Biennale: Beuys, Kiefer, Nauman o Nitsch. 



Per alcuni giorni c’è anche il Cubo di 187 Kg d’oro di Niclas Castello, poggiato a terra a Riva Ca’ di Dio e controllato da sette guardie giurate.

La Biennale non va capita. Le opere si leggono con il linguaggio dell’Inconscio.



Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di giugno 2022


Tutte le foto, pubblicate sopra e di seguito, dono di Anna Maria Santoro e di Vincenzo D'Onofrio ©



Capsula del tempo, La Seduzione del Cyborg, Arsenale, Ph V. D'Onofrio



Jana Euler, Flay (eternity), dipinto, olio su lino (Padiglione Centrale, Giardini), Ph V. D'Onofrio



Jakup Ferri, The Monumentality of the Everyday, dipinti e tappeti, Arsenale, Ph V. D'Onofrio



Carole A. Feuerman, scultura in resina, Chiesa della Pietà a Riva degli Schiavoni, Ph V. D'Onofrio



Katharina Fritsch, scultura, ( Leone d'Oro alla carriera) - (Padiglione Centrale, Giardini) Ph V. D'Onofrio



Gabrielle L'Hirondelle Hil, scultura di collant, tabacco, linguette di lattine, (Padiglione Centrae, Giardini), Ph AM Santoro


Brbara Kruger, Untiled, Installazione, Arsenale, Ph V. D'Onofrio



Lynn Hershman Leeson, Installazione - Video, Arsenale, Ph V. D'Onofrio 



Simone Leigh (Leone d'Oro miglior artista), scultura, Padiglione Stati Unit, Giardini, Ph V. D'Onofrio



Candice Lin, scultura, (Arsenale), Ph V. D'Onofrio



Giardini, Ph V. D'Onofrio



Paolo Baratta, (Giardini), Ph AM Santoro



Elisa Cantarelli,( Palazzo Donà dalle Rose, Fondamenta Nove, Cannaregio 5038), Ph V. D'Onofrio



Niclas Castello, (Riva Ca' di Dio), Ph V. D'Onofrio



Eva & Adele, (Giardini), Ph AM Santoro



Zhanna Kadyrova, (Castello 2145, Riva San Biasio), Ph V. D'Onofrio



Michelangelo Galliani, (( Palazzo Donà dalle Rose, Fondamenta Nove, Cannaregio 5038), Ph AM Santoro


Jakob Lena Knebl e Ashley Hans Scheirl, (Padiglione Austria, Giardini), Ph V. D'Onofrio



Navin Rawanchaikul con la figlia, (Giardini), Ph V D'Onofrio



Ashley Hans Scheirl, (Padiglione Austria, Giardini Biennale), Ph V. D'Onofrio 



Reid Shier Curatore del Padiglione Canada (Padiglione Canda, Giardini), Ph V. D'Onofrio



 

Gian Maria Tosatti (Arsenale), Ph V. DOnofrio









Venezia, aprile 2022, Fotografati, nell'ordine di pubblicazione:

Venezia, Ph AM Santoro

Giardini, Padiglione Egitto: Mohamed Shoukry, Weaam El Masry, Ahmed El Shaer, Eden-Like Garden, Installzione (nel frontespizio), Ph V. D'Onofrio

Cecilia Alemani fotografata alle Corderie, Arsenale. Alle sue spalle le opere di Solange Pessoa, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Russia, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Spazio Esedra, Piazza Ucraina, PH v. D'onofrio

Giardini, Navin Rawanchaikul fotograafato con la figlia, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padigione Ungheria, Zsófia Keresztes, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Stati Uniti, Simone Leigh, Satellite, scultura in bronzo  8 metri, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Simone Leigh, Brick House, bronzo, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Uruguay, Gerardo Goldwasser, Persona, Installazione. Nella foto Demis Marin, un vero sarto di Mestre, dell’Atelier Salso, chiamato al Padiglione Uruguay ai Giardini dall’artista Gerardo Goldwasser, mentre prende le misure a un visitatore della Biennale, Ph AM Santoro

Giardini, Padiglione Danimarca, Uffe Isolotto, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Venezuela, Palmira Correa, Ph AM Santoro

Giardni, Padiglione dei Paesi nordici, Sami, Ph AM Santoro

Giardini, Padiglione Gran Bretagna, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Giadino, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Centrale, Andra Ursuta, Ph V. D'Onofrio

Giardini, Padiglione Centrale, Mrinalini Mukherjee, Ph AM Santoro

Giardini, Padiglione Centrale, Hannah Levy, Ph V. D'Onofrio

Giardino della Marinaressa, Richard Orlinski, Ph AM Santoro

Riva San Biasio, Zhanna Kadyrova, Ph V. D'Onofrio

Riva San Biasio, Zhanna Kadyrova, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Delcy Morelos, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Emma Talbot, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Emma Talbot, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Elias Sime, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Teresa Solar, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Lynn Hershman Leeson, Ph V. D'Onofrio

Arsenale, Padiglione Malta, Arcangelo Sassolino, Giuseppe Schembri Bonaci, Brian Schembri, Ph V. D'Onofrio

Padiglione Italia, Gian Mria Tosatti, Ph V. D'Onofrio

Saype, dipinto su piattaforma galleggiante, nella foto la piattaforma è ancorata all'Arsenale Nord, Ph V, D'Onofrio

Riva Ca’ di Dio, Niclas Castello, Cubo di 187 Kg d’oro, Ph V. D'Onofrio

 

 

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