Bonichi, Carmassi e Orellana

Il fascino dell'immagine 

Museo Vittoria Colonna, Pescara 

dal 23 maggio 2014 in mostra permanente 

56 opere donate da Alfredo Paglione

a cura di Alfredo Paglione e Sandro Parmiggiani


Articolo di Anna Maria Santoro



 Il Museo d'Arte Moderna di Pescara si trova accanto al mare a pochi metri dalla Nave, la fontana di Pietro Cascella in marmo bianco di Carrara adagiata sulla spiaggia oltre Piazza Primo Maggio, con la sua forma di galea dal rostro appoggiato pesantemente sulla prua e i remi pronti al cabotaggio, immersi in una vasca dove l'acqua pare un prologo all'Adriatico.

Da quell'angolazione, tra le palme che coi loro slanci e il successivo chinarsi sulla terra richiamano alla metafora della vita, s'intravede la Galleria d'arte Vittoria Colonna.
E' un edificio dalle forme geometriche pulite, costruito nella metà degli anni Cinquanta su progetto dell'architetto Eugenio Montuori, lo stesso che nel secondo dopoguerra con Annibale Vitellozzi aveva disegnato la facciata della Stazione Termini, con un salto in un linguaggio di funzionalità e di design applicati all'urbanistica.

Dopo aver ospitato le Facoltà di Lingue e di Economia e Commercio, quel complesso viene ristrutturato da Gaetano Colleluori in spazi aperti che contestano il respiro ravvicinato dello sguardo, per contenere, oggi, il patrimonio del Comune in collezioni d'arte del Novecento alle quali, dal 2014, si aggiungono le opere di tre grandi Maestri, Claudio Bonichi, Arturo Carmassi e  Gastón Orellana, con le loro 56 opere provenienti dalla Collezione Alfredo e Teresita Olivares Paglione. 

Le parole di Paglione sembrano offrire una saggezza d'altri tempi, ormai desueta: "Desidero, con questa donazione, che la bellezza raggiunga il maggior numero di persone, che riempia i loro occhi e tocchi il loro cuore, e faccia percepire quella luce che c’è, sempre, oltre il buio.
Questa raccolta, del Museo Vittoria Colonna di Pescara, è l’ultima tappa di un mio cammino iniziato nel 1997 con la creazione del Museo dello Splendore a Giulianova, e continuata con l’apertura di tanti Musei e sezioni d’arte contemporanea in Abruzzo. E' un cammino che continua e che ha, come filo conduttore, il mio omaggio soprattutto ai giovani, che sono la speranza e il futuro di questa Italia che non sa più dare fiducia, spazio e lavoro ai suoi figli. Per loro, ho voluto diffondere richiami all’arte e alla bellezza; è come se accendessi piccoli fuochi; come se io piantassi degli alberi. Mi auguro che vengano ben accolti, alimentati e fatti crescere nel tempo".

Il percorso espositivo del Museo persuade la fantasia, in camerate semibuie con luci solitarie sopra ai dipinti in mostra. A destra dell'ingresso Claudio Bonichi, coi corpi seminudi di fanciulle mascherate; e le nature morte; coi ranuncoli di Londra; le mele gialle; e i petali di fiori che la secchezza di una vita ormai finita adagia a terra; Il reale è, per lui, esponente della Nuova Metafisica, una folla di fugaci apparizioni: "Mi seggo davanti al cavalletto - si legge in una lettera del 1999 - sul tavolino c’è una piccola mela bacata accesa di colori: domani sarà sfatta e mi chiede di essere ricordata. La dipingo meglio che posso, credo di aver dipinto una mela, la chiamano “natura morta” e invece mi assomiglia, è il mio ritratto". Oggi, a 71 anni, Bonichi dipinge nel suo studio che si affaccia su Largo Torre Argentina a Roma. Un'infanzia solitaria da figlio unico, ricorda i giochi con il nonno, il pittore Eso Peluzzi, le cui opere, insieme alle sue e a quelle di suo zio Gino Bonichi in arte Scipione e di sua figlia Benedetta, sono state recentemente esposte in una mostra a Parigi, al Musée du Montparnasse, dal titolo Portrait de famille.

La stanza accanto accoglie le dimensioni visionarie e fantasticate, connesse al Surrealismo, di Arturo Carmassi. Oggi, a 89 anni, si definisce un uomo libero da ogni regola. Lavora in uno studio a Torre Fucecchio sulla Valle dell'Arno. Inizia a dipingere che è ancora un ragazzotto, disegnando i ritratti della zia materna andati poi perduti in un bombardamento della guerra. Al Museo di Pescara sono state donate le opere realizzate tra il 1968 e il 1972: Il Capitano, Il Minotauro, L'Ariete, Le Metamorfosi, Il Grande Oracolo e le fanciulle coi volti celati dai tessuti.

Infine, le tele di Gastón Orellana datate tra il 1973 e il 1974, con gli allucinati e grotteschi personaggi in nero; con le scale dei grigi. Nato in Cile, nel 1961 è cofondatore del Grupo Hondo. Oggi ha 81 anni. Di lui si legge attraverso le parole di James Johnson Sweeney del 1983: "Quando Gastón viene a casa mia, salutandomi coi suoi passi nervosi, gesticolando e ridendo di cuore, abbracciandomi, io sento una gran voglia di calmarlo. Ma calmarlo da cosa? Cos'è la sua intera persona, e cos'è tutta la sua vita se non vivacità? Sicché, quando esce, i suoi passi rimangono; rimangono i suoi suoni; e quando riparte, ho la netta sensazione che il mio amico sia ancora a New York". E di Pablo Neruda: "Ciò che esiste nella pittura di Gastón Orellana è vivo come la vita: così sicuro come un oggetto, misterioso come una pietra. Forse la sua arte accanita è un’estensione dell’anima; ma così materiale, tattile e rugosa e fertile, come l’involucro d’un frutto".

Con le 56 tele di Bonichi, Carmassi e Orellana, sono 1500 le opere donate all'Abruzzo da Paglione.


Così scrive di lui Giovanni Gazzaneo: "Il brutto regna sovrano e riduce l’arte a questione di mercato che nulla ha a che fare con la cultura. Paglione ha saputo testimoniare che una bellezza autentica, invece, è ancora possibile".


Pubblicato: Il Borghese, numero di agosto/settembre 2014

Pescara, luglio 2014, ph Anna Maria Santoro  

Nell'ordine:

Dipinto di Gastón Orellana

Foto che ritrae Alfredo Paglione

Dipinti di Claudio Bonichi (2 foto)

Dipinti di Arturo Carmassi (2 foto)

Gastón Orellana (2 foto)





 

















































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