Dalì, Magritte, Man Ray e il Surrealismo

Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen

Mudec, Milano 

dal 22 marzo al 30 luglio 2023 

a cura di Els Hoek 

con la collaorazione di Alessandro Nigro

 


Articolo di Anna Maria Santoro



  A Milano i percorsi espositivi del Mudec accolgono la mostra «DALI’, MAGRITTE, MAN RAY E IL SURREALISMO. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen», che sala dopo sala offre un modello di bellezza che apre nuove strade all’arte attraverso la psicanalisi. Visitabile fino al 30 luglio 2023, pone lo sguardo su un mondo di immagini simboliche la cui rete intricata di significanti ne sfida la comprensione. E’ curata da Els Hoek con la collaborazione di Alessandro Nigro, e presenta documenti, sculture e dipinti realizzati per lo più tra gli anni Venti e Quaranta del 1900 da artisti ispirati dalle teorie freudiane, tra cui Max Ernst, Piet Ouborg, Paul Delvaux, Wifredo Lam, Unica Zürn, Leonora Carrington o Meret Oppenheim, nota anche come modella, «esempio perfetto del gusto surrealista per lo scandalo» come ebbe a dire Man Ray per il quale posò nuda nel 1934 con le mani e le braccia sporche di inchiostro, appoggiata a un torchio. E c’è, nella mostra, anche un dialogo con i manufatti della collezione permanente etnografica dello stesso Mudec, in aderenza all’interesse dimostrato in quegli anni per le «culture native».

Le sei sezioni del percorso espositivo sono introdotte, ciascuna, da una citazione e da un’opera che ne anticipano il contenuto. Fa da prologo il «Manifesto del Surrealismo» scritto da André Breton nel 1924: poeta, ma soprattutto medico che si appassionò alla psichiatria, dai testi di Freud «L’interpretazione dei sogni» e «L’Io e l’Es» del 1900 e del 1923, Breton trasse l’idea di un processo, «automatismo psichico», che «in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione» fosse in grado di favorire la creazione di opere, con forme e figure derivanti dall’inconscio e dall’immaginazione, attraverso libere associazioni come nel sogno, eludendo la logica.

Nella mostra, a preannunciare la trama della prima sezione è il sofà «Mae West lips» di Dalì, rivestito in flanella rossa a forma di labbra. Complessa è la sua storia: Mae West, attrice nota per la sua sensualità, fu ritratta nel 1935 da Dalì in un dipinto a tempera dal titolo «Viso di Mae West utilizzabile come appartamento surrealista», in cui le parti del volto vennero disegnate a mo’ di oggetti d’arredamento: due quadri al posto degli occhi, due tende per simulare i capelli, un orologio per il naso e un divano a forma di labbra per la bocca, quest’ultimo trasposto in mobile sofà nel 1937 ed esposto l’anno dopo a Londra alla mostra collettiva dei surrealisti. Nel 1970 il dipinto venne anche trasformato in una reale stanza, nel «Teatro-Museo Dalì» a Figueres. La scelta di collocare il divano all’inizio della mostra è probabilmente rintracciabile nelle vicende legate all’iter della sua creazione, che racchiude le categorie della provocazione, del desiderio e dello scandalo, anche palesemente erotico, che accompagnano il visitatore lungo tutto il percorso.         

Nella seconda sezione «Dadaismo e Surrealismo», le pubblicazioni di Kurt Schwitters, Tristan Tzara e Francis Picabia e le opere di Max Ernst, Man Ray e Marcel Duchamp creano un’atmosfera di «antiarte», la stessa voluta dai dadaisti che, nel rifiuto di produrre «oggetti-valore» per il mercato, conferivano all’arte il compito di opporsi al nonsenso del reale: è un concetto ante litteram del «Reale», che in Jacques Lacan, qualche anno più tardi, rappresenterà la dimensione dell’esperienza umana non completamente simbolizzabile. Tecnicamente, le opere dei dadaisti erano realizzate con «oggetti già fatti», trovati, capovolti o assemblati tra loro. Ne è un esempio, in mostra, «Cadeau», un ferro da stiro in ghisa con quattrodici chiodi in rame saldati sulla piastra, di Man Ray.

Nella terza sezione, «La mente sognante», lo sguardo è catturato dalla «Venere di Milo a Cassetti» di Dalì, del 1936. Dalì, dal volto inconfondibile per i suoi baffi appuntiti verso l’alto e gli occhi sempre sbarrati, si dedicò anche al cinema: con Luis Buñuel nel 1929 realizzò il cortometraggio surrealista «Un chien andalou», e nel 1930 «L'âge d'or». Lavorò anche con Alfred Hitchcock per la scene di un sogno del protagonista, interpretato da Gregory Peck, del film «Spellbound», i cui spezzoni sono proiettati lungo il percorso della mostra insieme alle immagini di altri capolavori, come il cortometraggio «Entr’acte» del 1924 tratto da una sceneggiatura di Francis Picabia in cui, tra gli interpreti, figurano Man Ray, Marcel Duchamp ed Erik Satie.

           

Procedendo, di fronte alla complessità del quadro «Figura seduta» di Eileen Agar, vengono in mente le tecniche usate da alcuni artisti per esplorare l’inconscio, ad esempio il «Metodo paranoico-critico» di Mirò, che fissava a lungo un oggetto fino a trasmutarlo in un altro dipingendolo in uno stato compulsivo; oppure, in letteratura, il «Flusso di coscienza» di Joyce che arrivò a sopprimere la punteggiatura decostruendo il linguaggio.  

Nella penultima sezione, desiderio e sessualità repressa dalla società del tempo sono i temi che nella «Venere restaurata» di Man Ray trovano incarnazione nelle corde che legano, strette, il corpo di una figura femminile: è il calco in gesso del tronco della Venere di Milo che esplicita la tendenza alla dissacrazione.

Immancabile è infine il richiamo, attraverso un’opera di Meret Oppenheim, a «I Canti di Maldoror», poema epico del 1869 amato dai surrealisti per il prevalere della fantasia sulla realtà. 


Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di maggio 2023

Le foto pubblicate in questa pagina, e nel frontespizio, sono tratte dalla cartella stampa dell'Ufficio Stampa. 

Nell'ordine:


© Jacques Lacomblez, Déplier les énigmes, 2009, Olio su tela / Oil on canvas, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

© Unica Zürn, Komposition (Composizione), 1955, Gouache su carta, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam

© Jan Schlechter Duvall, Erotic, 1971, Olio su tavola, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam


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