Logo del Festival della Filosofia 2023, foto tratta dal sito ufficiale del Festival

Settembre 2023 

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA 202   

Modena Carpi e Sassuolo

PAROLA

Foto del logo 2023, dal sito del Festival, particolare



di Anna Maria Santoro  


                                                                                                                                                         

Il Festival della Filosofia di Modena Carpi e Sassuolo si celebra ogni anno per tre giorni a metà settembre, e si offre come il suono nella musica: con l’attesa per l’imminenza dell’inizio e, al suo concludersi, con l’eco di ciò che si è ascoltato. Per il 2023 si è scelto di argomentare sulla «parola», sul suo potere magico nella politica, nella scienza e nell’arte; nella psicoanalisi e nella semiotica, studiandone il carattere simbolico, performativo e polisemico.




È facile cogliere le avventure dei lemmi nel rapporto tra significante e significato perfino nel viaggio per raggiungere le tre città: sull’autostrada la segnalazione «L’operaio vestito di giallo è il mio papà» fa pensare agli scritti di Jacques Lacan «Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno».




Nella sera che precede il festival il silenzio avvolge i palchi: sembrano altari che attendono i pellegrini avidi delle parole dei filosofi invitati a dialogare da tutta Italia, e da Francia, Stati Uniti, Brasile, Regno Unito, Spagna, Svezia, Olanda, Svizzera.

Le lezioni magistrali del primo giorno del festival si aprono, sotto una pioggia torrenziale, con dissertazioni sui classici: a Sassuolo la disamina di Franco Lo Piparo è sul testo di Aristotele «Περί ἑρμηνείας»; a Carpi su Wittgenstein mentre a Modena Francesca Piazza, muovendo dai duelli omerici, evidenzia due tesi contrastanti: la prima, in cui linguaggio e violenza risultano in accordo, è suffragata dagli attributi che armi e parole hanno in comune: taglienti, dure, affilate; nell’«Iliade», Achille a Ettore morente: «Adesso di te cani e uccelli faranno lurido sconcio»; l’altra, esplicitata da Isocrate, affida al logos una funzione civilizzatrice. 

Nel pomeriggio il sole splende inaspettato e gli ombrelli, ingombranti, nella duplice e opposta finalità di riparare dall’acqua e dal caldo, sembrano anticipare il tema di Maurizio Ferraris strutturato sulle enantiosemie.

Come ogni anno, lezioni, mostre, spettacoli, concerti, cene filosofiche e film sono in gran numero, molti in contemporanea. Si ha il desiderio, impossibile da realizzare, di assistere a ogni evento. C’è il rischio di inciampare nel «paradosso dell’asino di Buridano». A Modena, la lezione magistrale di Cecilia Robustelli è su «Lingua, linguaggio, sesso, genere»: «Riferirsi a una donna con il genere grammaticale maschile vuol dire non riconoscerne il ruolo», non è una questione solo linguistica, ma di cultura. 



«Il trauma della parola» è invece il tema di Massimo Recalcati: quando sale sul palco, la temperatura sfiora i trenta gradi. In jeans e camicia bianca, ostenta sicurezza e trasmette sicurezza. Parla di forme depressive di sofferenza che sono «le parole che non abbiamo mai detto, o che attendevamo e non ci sono mai state dette», e della necessità di ridare valore ad esse, «ma perché funzioni, è necessario che ci sia qualcuno in posizione di ascolto». E argomenta, anche, sul nome proprio, consegnato da altri «carico di attese, fantasmi, mali e destini»: ci sono parole che portiamo in noi stessi, sono traccia di altri: «Lacan le chiama “parole proiettili”: noi siamo parlati prima che parlanti». Viene in mente una frase di Lacan: «Il linguaggio è un corpo estraneo. Il soggetto è parlato dal linguaggio» e ancora, nel 1974, così scriveva: «Io non sono un poeta ma un poema».



Maurizio Ferraris è anche lui in jeans, ma con giacca e cravatta. Parla tutto il tempo in piedi: «Hegel definiva “mirabile parola” la parola “senso” perché contiene al proprio interno due significati opposti: gli organi dell’apprensione immediata, ma anche l’universale della cosa. Come si dà questo tipo di contraddizione? Hegel se lo chiedeva nel 1820». Su questo argomento nel 1811 era uscito un libro di Jane Austen dal titolo «Sense and sensibility» tradotto con «Ragione e sentimento», da non confondere con J. L. Austin, filosofo del Novecento autore di «Sense and Sensibilia». L’argomento dei significati opposti aveva interessato anche Freud, che nel 1910 aveva scritto «Significato opposto delle parole primordiali», nel quale si riferiva a un egittologo, Carl Abel, che nel 1884 aveva fatto notare come ci fossero parole, o «uno stesso geroglifico», che avevano significato opposto. «Un altro linguista, Ferdinand de Saussure, aveva detto che il linguaggio è fatto di contrapposizioni». Anche i nostri cinque sensi sono doppi, «in una versione materiale, e in una spirituale. Occhio: è ciò che ci permette di vedere ma è anche discernimento intellettuale, inteso come “avere occhio”. Così orecchio, fiuto, gusto e tatto hanno un tipo di raddoppiamento identico a quello che avviene per l’occhio». Ma Austin fa notare anche l’esistenza di un «sesto senso» di cui aveva parlato Aristotele, la «κοινή αἴσθησις», che è «capacità di coordinare i sensi usati contemporaneamente, ad esempio vista e udito per un lampo e un tuono, riconducendoli a un unico evento». C’è poi l’ipotesi avanzata da Freud, confermata dalle scienze contemporanee, «secondo cui l’origine di pelle, corteccia cerebrale e stomaco è comune». Tutto questo si riconnette al pensiero di Hegel sulla duplicità della morte. Hegel dice che «gli egizi furono i primi ad affermare l’immortalità dell’anima. … La mummia è pelle, ma anche anima in quanto corpo conservato». Nel 1920 Freud scrive «Al di là del principio di piacere»: «Il sistema nervoso centrale deriva dall’ectoderma. La sostanza grigia cerebrale, dunque, è un residuo della superficie primitiva dell’organismo e potrebbe averne ereditato alcune proprietà fondamentali». Quindi, noi avremmo «la corteccia cerebrale che sarebbe la sede della razionalità; la pelle che sarebbe la sede delle sensazioni; lo stomaco che esprime visceralità, ad esempio mi sta sullo stomaco». E, nel 1932, Paul Valéry scrive: «Quel che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle»: vi sono manifestazioni fisiche che evidenziano un disagio spirituale come pallori, rossori, brividi, eritemi.



Comincia a farsi buio. Le lezioni proseguono a Modena con Eva Meijer sui «Linguaggi animali» e a Sassuolo con Alessandro Carrer




Nella notte a Modena Gino Castaldo porta a Piazza Grande le parole magiche dei cantautori italiani, tra cui De André, Dalla, Battisti, De Gregori, Battiato, Guccini.



Tra le mostre: a Modena alla Biblioteca Estense è allestita «Parole Sacre. Tanakh, Bibbia, Corano», a testimonianza delle molteplici forme sotto cui la Parola di Dio è stata tramandata; sono esposti due Corani decorati in oro, la Bibbia di Borso d’Este realizzata in pergamena tra il 1455 e il 1461 con miniature rinascimentali; due Bibbie ebraiche del XVII secolo. All’Archivio Storico i documenti dei Consigli cittadini sono affiancati da una performance che traspone in musica le espressioni verbali delle sedute comunali dal Quattrocento a oggi. 




Alla Galleria Estense si possono leggere epistole di celebri artisti, tra cui quella di Gian Lorenzo Bernini che accompagnava il Ritratto di Francesco I d’Este: «Serenissima Altezza, credere di poter farlo somigliare, senza aver mai visto il naturale, è quasi impossibile», mentre al centro di «Accoglienza Papa Francesco» si celebra don Milani, con «Lettera a una professoressa».

A Modena, la mattina del secondo giorno del festival si nota il cartello «vendesi» nell’edicola che è a Piazza Matteotti, accanto a una grande busta con «Parole per il carcere» e l’installazione di Roberto Alfano, «Baracca», che rappresenta i pensieri degli emarginati.





Sul fianco meridionale del Duomo, lungo i gradini un’intera classe di studenti annota le parole di Salvatore Natoli sugli effetti che produce il dire. Alla stessa ora, ma a Carpi, Tim Ingold argomenta su scrittura e riferimenti visuali: cita un indovinello del IX secolo, «se pareba boves / alba pratalia araba / et albo versorio teneba / et negro semen seminaba», in cui i buoi, i campi bianchi, l’aratro e i semi neri sono metafora di dita, penna, pagine e lettere vergate con inchiostro nero.

A Modena la lezione magistrale di Ivano Dionigi è sulle forme fuorvianti della comunicazione: «oggi usiamo parole che sequestrano la verità; sono ambigue, truccate, imbellettate», derivate dal linguaggio economico e militare: «flessibilità» al posto di «disoccupazione» o «economia sommersa» invece di «lavoro nero». 



Alla stessa ora ma a Carpi Paolo Virno disserta su «linguaggio come possesso e non identità»: «Émile Benveniste in un articolo su essere e avere dice che essere stabilisce un rapporto intrinseco di identità, al contrario i termini congiunti da avere restano inassimilabili». Ma c’è un aspetto paradossale: noi «abbiamo» la facoltà del linguaggio, ma questa facoltà istituisce la relazione che proprio il linguaggio permette di avere. Il linguaggio è condizione della sua condizione. 



Il confronto del linguaggio degli esseri umani e le macchine è invece lo studio neuroscientifico di Andrea Moro: l’intelligenza artificiale non distingue le frasi sintatticamente corrette e di senso compiuto da quelle sintatticamente corrette ma scritte in una lingua impossibile con parole inventate, come ad esempio «il gulco gianigeva le brale».



Tra un dibattito e l’altro non mancano gli avvisi: è consentito introdurre bottiglie ma non di vetro; è consentito introdurre ombrelli ma non con la punta. 



Ci si chiede quanto valore possa avere un divieto in una società in cui, come spiega David Le Breton, «la conversazione non esiste più, e i volti delle persone sono prostrati sui telefonini» in una sorta di autismo sociale.



A Carpi la mostra di Emilio Isgrò, che interviene sui libri cancellandone intere righe, fa pensare ai lavori di ricerca, su arte e filosofia, di Francisco Jarauta.




È ormai notte quando a Modena ricomincia a piovere, ma non appena Alessandro Bergonzoni balza sul palco, capelli lunghi e soprabito fino ai piedi, la pioggia cessa: sembra uno stregone che danza al ritmo di giochi linguistici che sfondano barriere di logica e realtà, e si susseguono in un flusso incessante di pensieri come le ultime pagine dell’«Ulisse» di Joyce. S’interroga sulla tragica pretesa di onnipotenza dell’uomo: «Cos’è che ci fa sentire Dio, senza avere nulla da dare come Dio?!».

Il terzo e ultimo giorno del festival, a Modena c’è Éric Sadin: nel suo libro «Critica della ragione artificiale» evidenzia come le nuove tecnologie stiano mettendo a rischio le facoltà di giudizio. 




Segue la disamina di Sverker Johansson mentre contemporaneamente, ma a Carpi, Umberto Galimberti intrattiene una folla esorbitante; qualcuno commenta: «C’è più gente che al concerto di Vasco Rossi!». Il titolo della sua lezione è «Senza parole»: «le parole che usiamo le usiamo in un mondo che non esiste più». Alla fine rimane a lungo, seduto a Piazza Martiri, per gli autografi.



Nel pomeriggio a Sassuolo, Michela Marzano argomenta sulle trappole del linguaggio quando il consenso non è tale ma è cedimento alla prepotenza e alla violenza, mentre a Modena Stefano Massini, su «Odio e amore», cita Gorgia che nei discorsi giuridici inseriva figure retoriche desumente dalla poesia, spostando l’uditorio a una forma di fascinazione e incanto: «Parola deriva dal greco paraballo παραβάλλω, collego», e il dio della parola non a caso è Hermes, trasportatore di messaggi. «Ma Hermes, come dice Platone, è anche il dio del latrocinio perché la parola è fraudolenta e fonte di fraintendimento», capace di amore e di odio.



La lezione di Umberto Curi a Sassuolo è sul binomio parola e ascolto come terapia: «Nel IV secolo a.C. Antifonte, come raccontano lo Pseudo-Plutarco e Filostrato, aveva allestito una stanza a Corinto per curare con i discorsi coloro che avevano dolore nell’anima, rivendicando non una semplice pratica empirica ma una τέχνη αλυπίας - tèchnē alypìās», una sorta di psicanalisi ante litteram.



È ormai notte quando sul palco di Piazzale della Rosa a Sassuolo Monica Guerritore interpreta le liriche di Dante.

Manca, quest’anno, Marc Augé.  


Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di novembre 2023 

Modena, Carpi, Sassuolo, 15, 16 e 17 settembre 2023, ph Anna Maria Santoro © d Vincenzo D'Onofrio © (ad eccezione del logo del Festival e ad eccezione dell'immagine con l'avviso sull'autostrada)  

Fotografati, nell'ordine di pubblicazione:

Autostrada A14

Cartello autostradale (da Everyeye auto)

Piazza XX Settembre a Modena

Massimo Recalcati

Maurizio Ferraris

Eva Meijer in sala stampa

Gino Castaldo

Gino Castaldo in hotel

Mostra alla Biblioteca Estense "Parole Sacre. Tanakh, Bibbia, Corano",

Mostra alla Galleria Estense "Parola d'ordine"

Busto di Francesco I d'Este, marmo, 651, Bernini

Salvatore Natoli

Salvatore Natoli

Pubblico a Piazza Grande, Modena

Paolo Virno

Andrea Moro

Informazioni

David Le Breton in sala stampa

Opetra di Emilio Isgrò

Alessandro Bergonzoni manifesto

Alessandro Bergonzoni

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti

Piazza Martiri, Carpi

Michela Marzano

Umberto Curi

A Sassuolo

Francesca Piazza fotografata a Carpi (a Carpi per ascoltare Galimberti)

Francesca Rigotti in sala stampa

Vetrina, libreria

Totem Mostra

Valigie














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