Georges de La Tour
L'Europa della luce
Palazzo Reale, Milano
dal 7 febbraio al marzo al 27 settembre 2021
a cura di Francesca Cappelletti e Thomas Clement Salomon
Prenotazione obbligatoria causa pandemia
Articolo di Anna Maria Santoro
Il 2020 è l’anno della pandemia. E’
l’anno del divieto di compiere le azioni quotidiane consacrate all’abitudine. “Non è la ragione la guida della vita, ma
l’abitudine. Essa soltanto muove la mente a supporre il futuro conforme al
passato” scriveva Hume nel 1736 nel “Trattato
sulla natura” sicché, quando il presente muta all’improvviso, lascia di
stucco e senza fiato.
L’obbligo, inatteso, di non uscire di
casa, e la chiusura di uffici, scuole, negozi, teatri e musei per l’emergenza covid-19, ha alterato per mesi i ritmi quotidiani
ma anche i nessi tra vita e letteratura, vita e arte, vita e filosofia, musica
e teatro surrogando le performances culturali dal vivo con quelle in streaming,
modificando l’ambiente e i modi in cui l’uomo vive e si relaziona. Come
scriveva McLuhan nel 1964, “Il mezzo
– oggi schermo di un computer - è il suo stesso messaggio”: un canto o
un quadro, ascoltato o visto su un pc, ha un effetto diverso se ascoltato o
visto ad un concerto oppure in un museo.
E’ un concetto analogo a quello di Platone
che nel 380 a.C. nella “Repubblica” aveva
definito i gradi della conoscenza attraverso l’allegoria del “Mito della Caverna”, con il passaggio da
una conoscenza intesa come opinione o doxa - δόξα – a una conoscenza razionale o
epistème - ἐπιστήμη - attraverso quattro stadi: il primo è l’immaginazione o
eikasìa - εἰκασία – in cui le ombre di statue all’interno di una caverna sono scambiate
per realtà; il secondo è la credenza o pìstis - πίστις – in cui le statue stesse sono credute realtà;
il terzo è il discorso matematico o diànoia - διάνοια – in cui, con l’uscita dell’uomo
dalla caverna, le immagini della realtà che egli vede riflesse nei laghi sono
credute realtà; l’ultimo stadio è l’intellezione o nòesis - νόησις – attraverso
la quale, alzando lo sguardo verso la luce, viene guardata finalmente la
realtà, e colti i nessi del mondo esterno alla caverna, di cui il sole
rappresenta l'idea del bene.
E’ lo stesso quando si pensa e si guarda
un’opera d’arte: per sentito dire la si immagina, la si studia su un libro, la
si guarda in un museo, infine, in quello stesso museo se ne colgono le
relazioni.


Oggi, via via che i divieti si fanno
meno restrittivi per la riduzione dell’emergenza sanitaria, anche la cultura prova
a riprendersi i suoi spazi, come a Milano a Palazzo Reale, con la mostra
riaperta fino a settembre, dedicata a Georges de La Tour messo a confronto,
sulle sperimentazioni luministiche, con artisti a lui coevi quali Trophime
Bigot, Gerrit van Honthorst o Frans Hals, Carlo Saraceni, Adam de Coster, Jan
van Bijlert, Paulus Bor, Jan Lievens.


Sono poche le notizie biografiche di
Georges de La Tour. Nasce nel 1593 quasi al confine con i Paesi Bassi, in
Francia, a Vic-sur-Seille dove oggi, dal 2003, c’è un museo a lui dedicato.
Nella vita di tutti i giorni sembra essere un uomo avaro e litigioso. Figlio di
un fornaio; padre di undici figli, vive con un gran numero di cani. Nel 1639
viene nominato “pittore di corte” a Parigi, da Luigi XIII. Pare che molte sue
opere siano andate distrutte nella Guerra dei Trent’anni. Dal XVIII al XIX
secolo si perdono quasi del tutto le sue tracce. E’ riscoperto nel 1915 dallo
storico dell’arte Hermann Voss. Nel 1935 Roberto Longhi se ne innamora. E’ il
pittore della luce.
Dipinge santi senza aureola; i suoi
soggetti sono zingari e bari. Per le scene religiose prende come modelli gente
comune, esattamente come Caravaggio, e come nelle opere di Caravaggio è la luce
che rende possibile la conoscenza. Ma in Georges de La Tour è artificiale e
proviene dall’interno del dipinto, non dall’esterno. Da una candela. Fioca, teatrale,
rende visibili figure e oggetti al contrario di una luce che troppo accesa potrebbe
comportarsi esattamente come il buio, accecando, come l’amore eccessivo che
soffoca l’amato.
Da piazza Duomo, prima ancora di entrare
a Palazzo Reale, si fa preludio involontario della mostra l’opera del 1951 di
Lucio Fontana che si vede dalla strada alzando lo sguardo verso l’ultimo piano
dell’attiguo Palazzo dell’Arengario: è una luce monumentale di tubi
fluorescenti che scivolano e s’inarcano sulla volta.

In solitudine, nella prima sala della
mostra si scopre l’accettazione del proprio essere per la morte della “Maddalena penitente”: con dita esili e
adolescenti accarezza un teschio e ne guarda, riflesso allo specchio, il suo
lato oscuro. Seguono “La rissa tra i
musici mendicanti”; “Gli inganni del
realismo” attribuito a Caravaggio fino al 1930; il “Suonatore di ghironda”; “Povertà
monumentale” con un vecchio a grandezza naturale; “Educazione della Vergine”; “Giovane
che soffia su in tizzone”.

Vino, musica e gioco da una parte, bellezza
e mitezza dall’altra, fanno pensare a Nietzsche che due secoli e mezzo più
tardi, nel 1872, parlerà di apollineo e dionisiaco, che in perfetto equilibrio saranno
l’accettazione totale della vita.




In solitudine, nella prima sala della mostra si scopre l’accettazione del proprio essere per la morte della “Maddalena penitente”: con dita esili e adolescenti accarezza un teschio e ne guarda, riflesso allo specchio, il suo lato oscuro. Seguono “La rissa tra i musici mendicanti”; “Gli inganni del realismo” attribuito a Caravaggio fino al 1930; il “Suonatore di ghironda”; “Povertà monumentale” con un vecchio a grandezza naturale; “Educazione della Vergine”; “Giovane che soffia su in tizzone”.

Vino, musica e gioco da una parte, bellezza e mitezza dall’altra, fanno pensare a Nietzsche che due secoli e mezzo più tardi, nel 1872, parlerà di apollineo e dionisiaco, che in perfetto equilibrio saranno l’accettazione totale della vita.

Pubblicato su Il Borghese, numero di agosto/settembre 2020
Le foto pubblicate in questa pagina (72 dpi) sono state tratte dalla cartella stampa dell'Ufficio Stampa
(ad eccezione del "Tubo fluorescente" di Lucio Fontana,
Nell'ordine
Ge