Giorgio de Chirico

L'Apocalisse e la luce 

Palazzo de' Mayo, Chieti 

dal 27 aprile al 15 luglio 2012 

a cura di Giovanni Gazzaneo ed Elena Pontiggia


Articolo di Anna Maria Santoro



 Nel 1992 la salma di de Chirico, per 14 anni accanto alle spoglie del fratello Savinio nel Cimitero del Verano, viene traslata nella Chiesa di San Francesco a Ripa Grande a Trastevere, nel locale adiacente alla cappella dell'Immacolata. E' padre Elia Germano Cerafogli, col confratello Felice Rossetti, a seguirne tutte le fasi burocratiche. A vegliarlo sulla tomba, sono tre opere del pittore: un Autoritratto, il Ritratto della moglie Isa e la straordinaria tela del 47, Salita al Calvario, sconosciuta ai più perché conservata nel suo studio privato a Piazza di Spagna, nell'attico del Palazzetto dei Borgognoni dove l'artista abita negli ultimi 30 anni della sua vita e dove, ancora oggi, in quegli appartamenti divenuti Casa-museo è collocata, su un cavalletto, la copia del Tondo Doni di Michelangelo che de Chirico esegue nel 1975, colmandola di colore solo nel volto della Vergine e lasciandola incompiuta.



Quando nel 1947 prende in affitto gli ultimi due piani di quel palazzo, "ci pioveva perfino dentro", racconta nelle sue Memorie. Alla fine degli anni Sessanta, acquistando parte dell'edificio accanto, il civico 32, ne ingrandisce il salone. "Tre o quattro volte al giorno esco sul terrazzo … scruto il cielo … poi guardo verso occidente, Monte Mario e la Cupola di San Pietro ...".

Quella casa la considera il centro del mondo.

Via Margutta, Trinità dei Monti e il Caffè Greco, dove ogni giorno va a bere un Punt e Mes, sono i luoghi di ritrovo degli artisti e del gotha della letteratura di quegli anni.

Ma alla vita romana approda solo dopo un lungo peregrinare: dalla Grecia, la città di Volos l'aveva visto nascere nel 1888, si sposta in Germania, in Italia, in Francia; di nuovo in Italia.

Volos, il luogo di Giasone, degli Argonauti e dei miti ellenici, dilata la fantasia bambina e i suoi sogni adolescenziali; "era un mondo popolato di presenze misteriose e di demoni, di occhi e di echi, dove la storia si confonde con la narrazione leggendaria", scrive Elena Pontiggia.

Così, non desta meraviglia se lo si conosce solo come Maestro della Metafisica anche perché, ad eccezione della mostra La Passione secondo de Chirico curata da Achille Bonito Oliva nel 2004, si ostentano i manichini e le sue piazze senza tempo; mai ne è stata indagata la tematica religiosa, approfondita, oggi, in un percorso di 55 opere esposte nel Museo di Palazzo de' Mayo a Chieti, curato da Elena Pontiggia e Giovanni Gazzaneo, come con continuum sistematico di quegli studi sull'iconografia sacra del Novecento che Alfredo Paglione ha inteso suggerire nel 2009 e realizzare con un progetto di Crocevia – Fondazione Alfredo e Teresita Paglione a Milano - con Messina, Longaretti, Mattioli e, in fieri, Sassu; per far tornare alla luce un'area dell'arte volutamente sommersa.

I dipinti esposti a Chieti "rivelano una lotta interiore fra nichilismo e speranza, sull'onda non tanto del pensiero del primo Nietzsche … quanto dell'interrogativo assillante dell'ultimo Nietzsche", con una "tensione sempre più evidente  … fra l'eros di una vita esaltata come assoluto, e l'agape crocifissa di un'esistenza affascinata dal santo che soffre e dal Dio fattosi bambino per noi" scrive l'Arcivescovo Bruno Forte nella prefazione del catalogo.




E' solo dal dramma del conflitto mondiale che de Chirico, dal 1939, dà avvio a una serie di opere a carattere strettamente mistico, in un ciclo che si conclude nel 53. "In precedenza non aveva mai rappresentato temi religiosi, eccezion fatta per i “D'après” come “San Giorgio e il drago” da Mantegna o la “Sacra Famiglia” da Michelangelo, ma in questi e in altri casi ciò che gli interessava era la pittura, non tanto le questioni di fede" scrive Paolo Picozza Presidente della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico che ha collaborato alla realizzazione di questa mostra.



Attraversando le stanze del museo, si offrono alla vista opere raramente esposte: Il Buon Samaritano, San Tobia e i viandanti; Gesù divino lavoratore; la Salita al Calvario restaurata per l'occasione per volontà dell'architetto Mario Di Nisio Presidente della “Fondazione Carichieti”, una tela che de Chirico ha tenuto in casa fino al momento della morte e che Paolo Picozza, all'epoca avvocato del pittore, così la descrive <Mi ha spiegato questo dipinto che secondo lui non era finito; ogni tanto lo ritoccava e più volte mi ha detto “no, qui c'è da cambiare”, cosa interessantissima, ma io allora capivo poco, ero più interessato agli aspetti legali>; quel dipinto rappresentava la sua vita.

Nella Sala dell'Apocalisse, egemone si fa il fascino della narrazione delle tavole del 1940, che illustrano quel Libro neotestamentario, poi campite ad acquerello nel 1977: le prime per un'edizione curata nel 41 da Raffaele Carrieri e le seconde per una ripubblicazione del 77 a cura di Isabella Far e per la quale, ai 20 disegni originari, se ne aggiungono due: la tavola II bis, con riferimento al passo dell'Apocalisse I,12-16 <... simile a figlio di uomo ...> e la tavola XII bis per il passo  XII, 3-4 <... ed ecco un gran drago ...>. Nel gennaio 1941 De Chirico scrive: "Nello scorso mese d'agosto, mentre stavo in una villa fiorentina … mi giunse da Milano una lettera dell'amico Raffaele Carrieri, in cui questi chiedeva se volevo illustrare l'Apocalisse". Sebbene d'ispirazione a Dürer, il racconto non ha i toni del dramma tramandato dalla tradizione iconografica; la figura della Morte appare, a Elena Pontiggia, <come uscita da una favola dei fratelli Grimm>. Scrive de Chirico: "Sono entrato nell'Apocalisse … felice come un fanciullo".




Anche l'uso del segno ridesta meraviglia, secondo una teoria esposta dal pittore nel Pro Plastica Oratio del 40: "La linea si può protrarre all'infinito; pertanto nel disegno e nella pittura è nefasta e deleteria; per questo coloro che ne intuiscono i misteri la fermano ai due capi". E nella lettera a Carrieri: "Dal punto A, che rappresenterebbe il mondo noto e dal punto B, il mondo ignoto, … io mi sposto, e con la matita Faber numero 2 … vado a installarmi sopra un terzo punto C. … I punti, aiutati dai tratti, s'agganciano l'uno all'altro. …  così nascono gli spettacoli disegnati".



Un giorno, nel suo studio a Milano gli fa visita Enrico Emanuelli, che così riferisce dell'incontro: <Con quella sua voce nasale mi dice “Questo disegno fa parte delle illustrazioni per l'Apocalisse”. … e offre con una mano il disegno, con l'altra una lente. …Quasi come fa l'orafo, per mostrare la perizia tecnica del suo lavoro>.

Così, in quelle antiche stanze di Palazzo de' Mayo, tra il mistero dei segni e dei colori, pare echeggino i versi di Montale "si perdono nel sereno / di una certezza: la luce". 







 



Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di luglio 2012

Chieti, aprile 2012, ph Anna Maria Santoro 
 
   

 

  

   

 

    









Catalogo: Giorgio de Chirico l'Apocalisse e la luce, SilvanaEditoriale
Catalogo: Giorgio de Chirico Catalogo ragionato dell'opera sacra, collana Novecento Sacro, SilvanaEditoriale

 


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