I luoghi dell'arte a Milano e mostre da visitare nel 2020




Articolo di Anna Maria Santoro



 Milano, un tempo silenziosa e lenta, è oggi una città che carica di aspettative l’uomo.

E’ la città dell’editto di Costantino. E’ la città della Basilica di Sant’Ambrogio; del duomo e della Vigna di Leonardo, che l’artista riceve in dono da Ludovico Sforza per l’affresco del Cenacolo eseguito nel refettorio della vicina Santa Maria delle Grazie. E’ la città in cui Manzoni fissa la sua dimora in via Gerolamo Morone nel 1810. E’ la città della Scapigliatura, delle riviste e di locali storici dove uomini d’ingegno si fermano a parlare d’arte e di letteratura: il caffè Cova, fondato nel 1817 vicino al Teatro alla Scala, è frequentato da Mazzini, Verdi, Verga, Boito, Giacosa; al Bar Jamaica, inaugurato nel 1911 in via Brera, si danno appuntamento intellettuali quali Baj, Dova, Treccani, Fontana o Buzzati mentre il salotto della casa di Margherita Sarfatti, al civico 93 di Corso Venezia, nel 1920 apre le porte a scrittori, pittori e scultori come Arturo Martini, Boccioni, Sironi, d’Annunzio, Pirandello, Negri e Prezzolini. E’ la città in cui Tommaso Marinetti nella sua casa in via Senato numero 2 fonda la rivista Poesia nel 1905; è la città in cui soggiorna anche Ungaretti e nella quale si consuma, nelle sue ossessioni, la poetessa dei Navigli Alda Merini.









        


 

 Milano apre le porte all’arte, che si consegna ai turisti in palazzi e fondazioni per le grandi mostre e nella quale anche il cimitero, inaugurato nel 1866, nasce come museo. Accoglie edicole, statue e monumenti funebri eseguiti da artisti come Medardo Rosso, Portaluppi o Wildt che glorificano sepolture di personaggi illustri e di famiglie di industriali i cui nomi sono legati alla Storia della città: Manzoni, Cattaneo, Toscanini, Montale, Quasimodo o Munari; Bocconi, Erba o Campari. Gli stili architettonici e scultorei, che qui mutuano le forme dal bizantino, dal romanico e dal gotico, esternano una bellezza e una grazia che esalta, anziché livellare con la morte, le differenze tra gli uomini. Eppure c’è una cosa che accomuna tutti: la sofferenza; se ne fanno portavoce, per esempio, l’Angelo del dolore di Eugenio Pellini nel monumento funebre a Luisa Baj-Macario alle spalle del famedio, oppure le righe strazianti scolpite sulle lapidi dell’ossario dove, tuttavia, capita anche di leggere “Urgente, concessione scaduta. Contattare l’ufficio del cimitero”.


Oltre il cancello dell’uscita, si apre Via Ceresio. Da lì, la Pinacoteca di Brera non dista molto. Essa contiene opere di Piero della Francesca, Mantegna, Bellini, Raffaello, Caravaggio, ma anche un laboratorio con pareti trasparenti realizzato nel 2002 da Ettore Sottsass, che consente ai visitatori di seguire gli interventi di restauro.

 All'ingresso, incuriosisce un’installazione di Giulio Paolini del 1971 con frasi scritte da bambini durante una visita didattica negli anni Cinquanta, in cui si legge “mi piacerebbe andare a scuola di pittura, ma più di tutto vorrei tornare a casa”.



 


La pinacoteca è situata al civico 28 di Via Brera. Anticamente, l’edificio era un convento dell’Ordine degli Umiliati. Passato ai Gesuiti nel 1572 e ricostruito nel 1627, riceve un nuovo assetto da Maria Teresa d’Austria che vi realizza, accanto all'Osservatorio e alla Biblioteca istituiti dai Gesuiti, l’Orto Botanico nel 1774 e l’Accademia di Belle Arti nel 1776. All'origine la pinacoteca non è che una piccola raccolta di opere che servono da modelli agli allievi dell’Accademia. E’ con Bonaparte, che la vuole il “Louvre d’Italia”, che il patrimonio artistico aumenta a dismisura grazie alle requisizioni da lui compiute nelle chiese e nei conventi delle regioni del Nord Italia, invase dalle armate dei francesi. Napoleone la inaugura il 15 agosto del 1809. A suggello, e presente ancora oggi, nel cortile dell’ingresso viene posta una statua celebrativa che lo ritrae in bronzo, fusa da un calco in gesso di un’opera eseguita in marmo da Canova.

Alcune mostre temporanee nel 2020

Di Napoleone è possibile vedere a Milano anche due busti, entrambi in mostra fino al 15 marzo (2020) alle Gallerie d’Italia a Piazza della Scala: l’uno, eseguito da Antonio Canova tra il 1804 e il 1808 dopo averlo incontrato appositamente nel 1802 a Parigi quando Napoleone era ancora Primo Console, è ritratto come “uomo del destino” con un fascino senza tempo; l’altro, eseguito nel 1830 da Bertel Thorvaldsen a nove anni dalla sua scomparsa - Napoleone era morto nel 1821 - è una sorta di apoteosi, con l’aquila dalle ali spiegate simbolo del suo immenso potere.


Canova e Thorvaldsen dalla fine del 1700 hanno lo studio a Roma: il primo a Campo Marzio e il secondo in Via del Babuino, e poi a Palazzo Barberini. Entrambi, rivali celebrati come i moderni Fidia, si sfidano sugli stessi soggetti mitologici, come Amore e PsicheVenereEbe o Le Tre Grazie, che rappresentano i temi universali della vita e della morte, legati all’amore e alla bellezza e che si possono ammirare nelle opere esposte, a confronto, alle Gallerie d’Italia.


     

       


















Al Museo del Novecento, in mostra fino al primo marzo c’è invece De Pisis. Laureato in lettere e insegnante di latino, lavora a Milano per brevi periodi: dal 1939 al 1941 dove alloggia all’albergo Vittoria in Via Durini e, ancora, dal 1941 al 1943, anno in cui il suo appartamento in Via Rugabella 11 viene distrutto dalle bombe.


Tra le altre esposizioni a febbraio 2020: a Palazzo Reale Georges De La Tour (fino al 7 giugno) e la collezione Thannhauser del Guggenheim Museum (fino all'1 marzo).



Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di febbraio 2020


Milano, gennaio/febbraio 2020, ph di Anna Maria

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