La malattia e l'arte

 




Data dell'articolo: luglio 2020
di Anna Maria Santoro



 Il colore non esiste più quando chiudiamo gli occhi e del passato non restano che immagini sbiadite; 







ma nel chiudere gli occhi in un museo si ha l’impressione che le opere non siano soltanto la semplice riproduzione della realtà, “L’arte – scriveva Heidegger - è la messa in opera della Verità e il tempio greco non riproduce nulla; semplicemente si erge”.

Sebbene un quadro fissi lo spazio e il tempo di un preciso evento, esso mostra significati che vanno oltre quel tempo e quello spazio, e pone una distanza tra il creare e il fabbricare. C’è, nell'arte, una lotta tra occultamento e disvelamento: se il primo, sosteneva Heidegger, coincide con l’aspetto manifesto, il disvelamento allude ad accezioni sempre e ulteriormente esplicitabili sicché, scriveva, “occorre esaminare l’attività dell’artista per rintracciare, in essa, l’origine”.  

Una delle condizioni che fatalmente tocca tutti gli uomini è la malattia; e negli artisti, essa non si frappone come interruzione tra l’esistenza e le opere a cui, nella loro vita, danno vita. 

E’ per questo che la malattia di un pittore attraverso il suo dipinto diventa essa stessa “Malattia”: 

Per Keith Haring (1958-1990), che perde molti amici a causa dell’AIDS, disegnare sui temi dell’AIDS diventerà naturale. Morirà di AIDS a 31 anni.


 


Alberto Burri (1915-1995) ancor prima di tagliare, bruciare, perforare e ricucire le sue jute e le sue plastiche, aveva lavorato con pazienti affetti da malattia fisica e mentale. Era medico.



Frida Kahlo (1907-1954) scopre la vocazione della pittura a 17 anni. Immobilizzata a letto a causa di un incidente stradale, per passare il tempo chiede al padre di portarle dei colori; grazie a uno specchio montato in camera diventerà modella di se stessa e con un corpo non più forte, a causa anche della poliomielite contratta da bambina, sarà costretta a dipingere quasi sempre stando distesa.

Egon Schiele (1890-1918) malato di peste, ritrarrà più volte l’agonia di sua moglie Edith incinta di sei mesi che morirà di peste. La seguirà tre giorni dopo, a soli 28 anni nel 1918, in un periodo in cui l’epidemia falcerà in Europa venti milioni di persone.

Pablo Picasso (1881-1973) dipinge “Scienza e carità” nel 1897; vi ritrae la sorella di nove anni morta di tubercolosi. Al capezzale colloca una suora e un medico, probabilmente è il ritratto del padre in realtà artista, che lo aveva avviato al mestiere di pittore.

Edvard Munch (1863-1944) ha appena 5 anni quando sua madre muore di tubercolosi. Tra il 1885 e il 1927 ritrarrà spesso sua sorella Sophie malata e morta pure lei di tubercolosi “Ho ridipinto questo quadro molte volte […]. L’ho raschiato, l’ho diluito con la trementina” – si legge nel suo diario quando, a un certo punto, nella foga e nell'agitazione del suo lavoro scopre che le sue ciglia si sommano alla figura lontana di Sophie distesa a letto, “Ho scoperto, così, che le mie ciglia partecipavano alla mia impressione. Le ho suggerite come ombre sul dipinto. […] Apparivano come linee sottili orizzontali, periferie […] smisi, sfinito”.

Francisco Goya (1746-1828) ha l’abitudine di inumidire i pennelli con la bocca ed è questa, forse, la causa dell’intossicazione da piombo che lo farà soffrire di violente emicranie, disturbi visivi, paralisi e sordità che lo porteranno a dipingere terrore e allucinazioni.

Domenico Fiasella detto Il Sarzana (1589-1669) è testimone della peste che aveva afflitto Genova nel 1656; la descriverà nel 1658 ritraendo anche se stesso all'interno del quadro; la peste non aveva risparmiato tanti giovani pittori allievi della sua bottega.

Caravaggio (1571-1610) ha solo sei anni quando nel 1577 a Milano muoiono di peste suo padre, il nonno e lo zio. E’ del 1593 il “Bacchino malato”; secondo alcune tesi si tratterebbe del suo autoritratto e le labbra viola indicherebbero uno stato di convalescenza durante un suo ricovero in ospedale. Avvezzo ad appoggiare il cibo sui quadri mentre dipinge, il suo stato di perenne agitazione pare dipendere dal piombo contenuto nei colori. Muore a soli 39 anni di febbre altissima.

Tintoretto (1518-1594) vive a Venezia quando nel 1575 la città viene colpita dalla peste. Non è la prima volta e Tintoretto aveva già eseguito, nel 1549, “San Rocco risana gli appestati” facendo riferimento all'epidemia del 1348. Ad essa era seguita un’altra ondata, nel 1423, anno in cui nell'isola di Santa Maria di Nazareth era stato aperto un ricovero per gli appestati detto Il Lazzaretto e al quale dopo circa mezzo secolo si era aggiunto il “Lazzaretto Novo” sull'isola della Vigna Murata per la sosta delle navi contaminate, l'igienizzazione delle merci e la quarantena dell’equipaggio.

Oggi, anno 2020, lo street artist inglese Banksy lascia un suo disegno all'ingresso del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Southampton all'indomani della dichiarazione del primato detenuto dall'Inghilterra per numero di morti da Covid-19. E’ il 6 maggio. Vi è ritratto un bimbo in salopette che ha in mano una piccola bambola vestita da infermiera con la mascherina chirurgica sul volto e, sulle spalle, il mantello dei supereroi.


Pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di luglio 2020  


Ph Anna Maria Santoro: © RIPRODUZIONE VIETATA

Foto Franceso Hayez, particolare dell'Autoritratto ad olio del 1848: Fotografia del 24 dicembre 2019 al Museo di Brera

Foto Biennale di Venezia 2013: Fotografia  del 29 maggio 2013 

Foto Museo di Brera, sala XXI: Fotografia del 24 dicembre 2019 a Milano

Foto Alberto Burri: Fotografia Mostra dal 10 maggio al 28 luglio 2019 alla Fondazione Giorgio Cini a Venezia 

Foto Frida Kalo: Fotografia del Manifesto all'ingresso della mostra dal 20 marzo al 31 agosto 2014 alle Scuderie del Quirinale a Roma

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