Piero Guccione l'Arte e l'Infinito
Scicli 1935 - Modica 2018

 




Data dell'articolo: dicembre 2018
di Anna Maria Santoro



 Che cos’è la morte? Talvolta la si invoca talaltra se ne ha paura ma, sempre, si cerca di comprenderla e quasi giustificarla attraverso la filosofia e la fede che documentano la forza del dolore che l’accompagna.

Il 6 ottobre 2018 la morte ha accarezzato gli occhi di Piero Guccione. Forse continuano a guardarci ancora, forse dall’alto, come impone il pensiero che ha bisogno di collocare tutte le cose in uno spazio e in un tempo ben definiti. Guccione, al contrario, dipingeva i paesaggi romani e siciliani catturandone la meraviglia oltre quel tempo e quello spazio che riguardano non più le cose ma il soggetto che le contempla.
 Lavorava con i toni dell’azzurro. Di azzurro colorava il mare immenso e il cielo.
 Le lievi increspature dell’acqua e delle nuvole, che guardava nel silenzio di Sampieri, Punta Corvo, Cava d’Aliga e Scicli, erano forse il suo dolore e la sua gioia messi insieme: le osservava ogni giorno dalla finestra del suo studio, ora in un luogo ora in un altro in quella parte della Sicilia che si affaccia sul Mediterraneo e che ha di fronte Malta.



Dalla Sicilia, in cui era nato nel 1935, si era trasferito a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti, ma poi vi era tornato nel 1979. Aveva affidato i ricordi legati alla sua isola a un filmato del 2009 con la regia di Vincenzo Cascone: "Da bambino, avrò avuto 5 anni, … andavo a Donnalucata con la mia famiglia, e scendendo verso la spiaggia un giorno vidi il mare. L’avevo già visto, ma lo vidi per la prima volta nel suo movimento".

 Nella Capitale era diventato amico di Guttuso, suo conterraneo, ma poi si era legato, artisticamente, al gruppo di Calabria, Vespignani, Farulli, Attardi e Gianquinto e ai tre critici Del Guercio, Micacchi e Morosini che a quel tempo scrivevano per Rinascita, L'Unità e Paese Sera, fondando, con loro, “Il Pro e il Contro” nel 1961. Era un movimento in cui, superando le polemiche tra il realismo politicamente schierato e l’astrattismo, prevaleva un atteggiamento intermedio e “di reinterpretazioni di tematiche alla luce del vissuto”, come avrebbe ben documentato Domenico Guzzi nel suo libro L’anello mancante nel 2002.
 Alla fine degli anni Cinquanta aveva partecipato anche ad alcune missioni paleontologiche nel Sahara libico, per il rilevamento delle pitture rupestri, e da quegli studi era nata una mostra alla Columbia University di New York.
Le sue opere sono state esposte alla Biennale di Parigi e di Venezia, all’Hirshhorn Museum di Washington, al Metropolitan Museum e al The Armory Show di New York; alla Kunstmesse di Basilea; a Parigi e a Chicago; in Australia, in Medio Oriente e nel Nordafrica; e alle Quadriennali a Roma e nei musei e gallerie d’Italia come la “Galleria Trentadue” a Milano di Alfredo Paglione che ancora oggi lo ricorda con affetto: <Un grandissimo artista, era un uomo giusto e leale; generoso come pochi>.
 Era amato da critici e da pittori: nello studio del suo amico fraterno Piero Vignozzi, tra le colline toscane di Reggello, incorniciati tra i ricordi a lui più cari ci sono le foto di Guccione ancora giovane, accanto alla locandina di una delle sue mostre, “I colori del mare 1967 1995” curata da Marco Goldin a Conegliano Veneto nel 1995.



Quando Goldin ha saputo della sua scomparsa, così ha scritto: “Sulla spiaggia di Sampieri ci sedevamo sul muretto dopo aver lasciato l’auto alla pompa di benzina. Stavamo lì seduti, nel primo mattino, davanti al mare. … Adesso che Piero Guccione non c’è più, sembra che anche il mare debba non esserci più. Oppure, che esisterà per sempre, dopo che il mondo non esisterà più”. 

Era stato molto amico anche di Bufalino, che viveva a Comiso a una manciata di chilometri da Scicli, e che così gli scriveva nel 1995: “Dai primi documenti della pittura rupestre … si può dire discendano le due schiere in cui si sono divisi gli artisti …; da un lato i servitori del vero, dall’altro i veggenti d’una menzogna che si maschera di verità, … Vista e visione, dunque, nemiche e alleate, insieme sulla tavolozza di ciascun pittore. Ma una terza parola mi viene sulle labbra, e sei tu, Piero, a suggerirmela. E’ la parola “visibilio” cioè l’estasi dello sguardo che s’innamora del creato”.


Guccione dipingeva ogni giorno, indossando una tuta azzurra da meccanico, stretta in vita con grandi tasche laterali.
Talvolta impiegava anni, prima di considerare finito un quadro.


Sul feretro, il 6 ottobre, hanno adagiato un ibisco rosso, il fiore da lui ritratto più volte. Nella camera ardente allestita a Palazzo Spadaro a Scicli, c’era, sullo sfondo, un suo quadro: il mare con una traccia spumosa come un percorso.
C’è chi crede che ci si possa rincontrare.


Articolo pubblicato sul mensile Il Borghese, numero di dicembre 2018

Vicenza, 2015 Mostra di Guccione a Palazzo Chiericati, ph Anna Maria Santoro 

 

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